Perché il debito pubblico in Italia è così alto e che effetto avrà sulla manovra del governo Meloni

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Manovra 2025

L’economista Leonardo Becchetti ha risposto alle domande di Fanpage.it sul debito pubblico italiano, cresciuto ancora negli ultimi mesi, e sulla manovra del governo Meloni. L’esecutivo, ha detto, si è “scontrato con la realtà” da quando è entrato in carica, e ha dovuto “stringere la cinghia” in diversi dettori.

Intervista a Leonardo Becchetti

Economista, professore ordinario di Economia politica all’università di Roma Tor Vergata

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Il debito pubblico italiano sfiora i 3mila miliardi di euro, il livello più alto mai toccato, e in un solo mese è aumentato di 30 miliardi. Lo ha riportato la Banca d’Italia nel suo ultimo rapporto. In questa situazione, il governo Meloni si prepara a scrivere una legge di bilancio che richiederà decine di miliardi di euro. Fanpage.it ha intervistato Leonardo Becchetti, economista e professore ordinario di Economia Politica all’università di Roma Tor Vergata, per fare chiarezza sulla situazione italiana nei prossimi mesi.

Professore, a giugno il debito pubblico italiano è cresciuto di 30,3 miliardi di euro rispetto a maggio. Come si spiega? Per un rialzo da oltre 30 miliardi di euro in un mese c’è da preoccuparsi?

La crescita molto forte del debito a livello mensile dipende anche dal venir meno di condizioni favorevoli (per il debito pubblico) che sino ad oggi ci hanno paradossalmente aiutato. Quando l’inflazione è alta il rapporto tra debito e Pil, o tra interessi sul debito da pagare e Pil, scende. Con il rientro dall’inflazione, generato dalle politiche monetarie restrittive delle Banche centrali che determina un aumento dei tassi nominali, il tasso d’interesse reale da pagare sul debito pubblico da parte dei governi è aumentato.

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Quindi man mano che Banche centrali come la Bce aumentano i tassi d’interesse, e l’inflazione scende, il debito pubblico da pagare diventa più alto?

Sì, successe così alla fine dell’inflazione degli anni Ottanta, e la botta è ancora più forte per i Paesi emergenti che hanno spesso debiti denominati in dollari e soffrono in aggiunta la svalutazione del loro tasso di cambio cambio per via della fuga degli investitori verso le attività finanziarie dei paesi con valuta forte. Infatti, mai come nella seconda metà degli anni Ottanta e ai nostri giorni ci sono stati default di Paesi emergenti. Un tema importante su cui le organizzazioni internazionali dovrebbero intervenire

Tornando all’Italia, l’aumento del debito pubblico negli ultimi due anni è stato dovuto soprattutto alle amministrazioni centrali – ovvero i ministeri, principalmente – mentre il debito pubblico delle amministrazioni locali è sceso. Come si interpreta questo dato?

Le amministrazioni locali si trovano di fatto prive di risorse, o hanno subito in questi anni provvedimenti che le hanno ulteriormente drenate. Il controllo delle spese dei ministeri centrali è molto importante e più a rischio di cattura da parte della classe politica. Per questo è importante la cultura della valutazione d’impatto della spesa, per verificare come è possibile renderla più produttiva e socialmente ed ambientalmente utile

Con l’ultimo aumento il debito pubblico italiano è arrivato a valere 2.948,5 miliardi di euro, una cifra ‘record’. Perché per un Paese è un problema avere un debito pubblico così alto?

Il debito pubblico va messo in rapporto al Pil, ovvero alla capacità del Paese di generare valore economico che può pagare gli interessi su quel debito. Il rapporto tra flussi in entrata e flussi in uscita ci dice se, dinamicamente, il debito tende a crescere o a diminuire. Il dato assoluto in sé non ha molto senso se non usiamo questi rapporti (anche se soglie psicologiche come quelle dei 3mila miliardi di euro possono impressionare).

Più che alla cifra assoluta quindi bisogna guardare al rapporto debito/Pil? Quello dell’Italia sfiora il 140%, il secondo più alto in Ue dopo la Grecia, ma nell’ultimo anno è leggermente calato (come è avvenuto anche nel resto d’Europa).

Bisogna considerare anche questo, sì. È alle dinamiche di questi rapporti che reagiscono i mercati finanziari. Ciò a cui reagiscono in realtà è un mix tra tendenza del rapporto debito/Pil a variare, e la loro aspettativa sull’ “attivismo” della Banca Centrale nel contrastare eventuali attacchi speculativi. Le due cose vanno tenute insieme.

Come si è mosso il governo Meloni negli ultimi due anni per quanto riguarda il debito pubblico?

Ha stretto la cinghia (difficilmente avrebbe potuto fare altrimenti, visti i vincoli) su molte voci creando malcontento sociale. Penso alla sanità, alle scuole, alla legge sulla non autosufficienza, bellissima e importante ma pochissimo finanziata, alla transizione ecologica e all’efficientamento degli edifici green.

È la solita meccanica della comunicazione politica che quando è all’opposizione, forte del suo distacco dalla realtà e dalla verifica dei comportamenti nei fatti, fa promesse che sono conti senza l’oste e poi quando va al governo deve scontrarsi con la realtà. Il problema però è piuttosto nella maturità dei cittadini-elettori, che sono troppo vittime di comunicazione e aspetti emotivi della politica ragionando poco su numeri e fatti.

Dopo agosto entreranno nel vivo i lavori per la legge di bilancio 2025: una situazione di debito così alto potrebbe mettere in difficoltà il governo? Finora le indiscrezioni parlano di progetti per almeno 20-25 miliardi di euro, che dovranno essere finanziati anche rispettando le nuove regole europee.

Nel dibattito sul debito sui media e nell’opinione pubblica gridiamo sempre che la coperta è corta (non basta la spesa pubblica per le spese correnti da finanziare in ambiti come salute, istruzione, manutenzione delle strade, ecc.). Ed in parte è vero. Penso soprattutto alla sanità, dove i bisogni di una popolazione che invecchia, in un contesto di progresso scientifico che rende sempre più curabili le malattie aumentando però gli anni di cronicità, rendono le spese sanitarie potenzialmente esplosive. Però poi ci dimentichiamo che assieme alla coperta corta abbiamo nell’armadio molte trapunte.

Cioè?

Sono i fondi europei, svariate decine di miliardi che possono attivare spesa buona e progetti che fanno crescere Paese ed infrastrutture materiali e sociali. Ma per usarli ci vogliono idee, capacità di progettare e non sempre ne siamo capaci. Questo è un versante su cui possiamo migliorare senza nessun vincolo di bilancio. Nell’era del Pnrr, ad esempio, abbiamo avuto su questo fronte più risorse che capacità di spenderle. Certo, manca tutta la parte necessaria di spesa corrente (finanziamento a istruzione ed ospedali), che non è investimento infrastrutturale e che dobbiamo procurarci da soli. E i fondi europei sono quasi sempre cofinanziati, e dunque lasciano traccia anche sul nostro bilancio.

Se il debito continua ad aumentare c’è il rischio di una nuova crisi finanziaria?

Il pericolo della situazione dipende tantissimo dal ruolo della Bce. Che con la sua autorevolezza e le politiche d’intervento messe a punto anche dopo il ‘whatever it takes’ di Draghi sa di avere il grande potere d’intervenire con liquidità per scongiurare crisi di debito pubblico dei Paesi membri sui mercati finanziari. È la nostra vera garanzia, ma è un potere che va usato con cautela perché in gioco è la stessa reputazione della Bce. Dobbiamo conquistarci la sua fiducia, e dare segnali che siamo orientati ad una dinamica positiva di rientro graduale de debito

Lo stesso documento di Bankitalia indica che c’è stato un aumento delle entrate tributarie rispetto al 2023. È un segnale positivo?

Senz’altro un dato importante ed in un certo senso atteso, perché il progresso nel controllo dell’informazione economica crea necessariamente le condizioni per rendere meno facile l’evasione. Se l’aumento delle entrate tributarie, però, non riesce a contenere un aumento della spesa da interessi sul debito passato (che tra l’altro cresce), allora non serve a contenere e a portare verso il basso la dinamica del rapporto debito/Pil.

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Fonte : Fanpage