Lo sappiamo tutti che non è per questo, che è un insieme di cose.
Piango perché sono stanca, perché fare la chemioterapia una volta a settimana è come avere un lavoro abbastanza impegnativo in partita Iva, la cui retribuzione è sopravvivere ma, anche se emetti fattura, non sai se e quando verrai pagato.
Singhiozzo perché, durante le ricorrenze, chi abbiamo amato e oggi non è più qui con il corpo ma solo con l’essenza, ci manca in maniera più profonda.
Mi dispero perché quella tizia, il cui volto si staglia sopra le buste dei pisellini raccolti a mano e congelati in ambiente protetto, vive in un corpo dolorante che non riconosce più.
Quando mi alzo la notte e passo davanti allo specchio del bagno ho un tuffo al cuore vedendo una figura aliena.
Gli effetti della chemioterapia
Le chemioterapie ti sottopongono all’extreme makeover più extreme della storia e ti portano via cose che ti definivamo, capelli, sopracciglia, anche la forma del mio corpo è cambiata e la fanno facile quelli che ti dicono: “Ricresceranno”. O anche: “Adesso l’importante è curarti”. Ma dai?
Perdere i capelli è stato tutto un viaggio a sé. Sapevo che sarebbe successo ma, anche quando iniziavo a perdere le prime ciocche, una parte di me si autoconvinceva che sarebbe andata diversamente, che ne avrei avuti solo meno. Dopo quattro giorni di lenta caduta, mi sveglio al mattino e la situazione è incontrollabile: una scena splatter a base di ciocche. Tra le mani, sulla spazzola, nel piatto della doccia, che occludono il lavandino.
Mi ha sopraffatto fare i conti con ciò che era inevitabile, perché è diverso essere a conoscenza che una cosa accadrà e viverla. È la differenza tra rappresentazione e realtà, non sono mai fedeli. Il pomeriggio stesso, senza più guardarmi allo specchio, mio fratello mi ha rasata. C’eravamo fatti l’idea che sarebbe stato come in quei video strappalacrime sui social ma non abbiamo mai riso tanto. Mi sentivo bellissima. Sono uscita perché avevo paura che i miei pensieri mi avrebbero fatto più male degli occhi della gente.
Mi sono truccata, la mia amica Federica mi ha fatto delle foto, ho fatto pure dei provini e sì, la maggior parte del tempo, se mi guardo dritta negli occhi vedo Alessandra, ma ci sono giorni che non mi riconosco, che non mi voglio vedere perché se mi penso, nella mia testa, la mia immagine è quella di sempre che si infrange contro la realtà e non voglio mentire. Fa male, è deprimente, mi fa tornare ai primi periodi quando mi chiedevo: “Perché a me?” come se per gli altri fosse giusto, come se fossi speciale.
“Allora, che torta facciamo?”.
Facciamo: noi, insieme, plurale.
Tiro su con il naso: “Ho visto una specie di Kinder Pinguì vegano e gigante”.
“Tira fuori la lista degli ingredienti”, mi dice Alessandro.
Ne è uscita una strampalata torta di compleanno che sarebbe piaciuta all’Alessandra di ieri e che ha adorato l’Alessandra di oggi che, poi, forse, sono ancora la stessa persona, con qualche pelo in meno e qualche magagna in più.
Una nota dell’autrice
Il cancro non è uguale per tutti. La malattia di ciascuno è unica, sia per motivi biologici e medici che perché ognuno di noi la affronta in un diverso momento della vita. Ciò che scrivo è frutto della mia personale esperienza. Non vuole dare una visione totale e totalizzante sulla malattia oncologica o insegnare come affrontarla.
Fonte : Wired