Intelligenza artificiale, non basta scrivere AI in etichetta per farci comprare qualcosa

Ci sono poi altri aspetti legati, a volte un po’ contraddittoriamente, ai timori per la privacy e alla sfiducia nei confronti delle organizzazioni che stanno alle spalle di queste tecnologie – per la maggior parte colossi hi-tech – già molto alta. Lo diceva un’indagine del 2023 di Cisco dedicata proprio alla privacy dei consumatori.

Come guadagnare fiducia?

Insomma, i brand che producono e pubblicizzano prodotti basati sull’intelligenza artificiale secondo questa analisi si ritrovano di fronte una battaglia importante per il proprio futuro, anche considerando le risorse che stanno riversando nel settore. Una recente analisi si domandava, insieme a schiere di osservatori, se quella dell’AI non stia diventando una pericolosa bolla in grado di far ballare anche i colossi coi piedi più solidi: per Sequoia le aziende nel settore dovranno generare ricavi per 600 miliardi di dollari all’anno per rientrare degli investimenti.

La parolina magica convince insomma solo in certi ambiti mentre in altri sconta diffidenza e con ogni probabilità scarsa comprensione e fumosità della comunicazione: cosa significa davvero che, poniamo, un paio di auricolari o un tostapane sono “AI powered”? E quanto “costano”, in termini di prezzo ma anche di dati e riservatezza, funzionalità aggiuntive talvolta marginali rispetto a prodotti di elettronica di consumo dalle funzionalità che si desidera niente più che basilari? I consumatori devono essere convinti dei benefici dell’intelligenza artificiale in uno specifico prodotto, ha affermato Gursoy: “Molte persone si chiedono: perché ho bisogno dell’intelligenza artificiale nella mia macchina per il caffè, o perché ho bisogno dell’intelligenza artificiale nel mio frigorifero o nel mio aspirapolvere?“.

Secondo l’esperto i grandi marchi non stanno al momento facendo un gran lavoro nel rispondere a queste domande. Sia per un discorso legato allo sviluppo delle proprie piattaforme AI, di cui spesso non si conoscono con esattezza modelli e dettagli, sia perché stanno probabilmente “esagerando”, infilando quell’etichetta un po’ dappertutto, in ogni gamma dei propri prodotti. Anche laddove il contributo effettivo dell’AI sia limitato. Insomma, perché i consumatori acquistino articoli che promuovono l’utilità dell’AI, le aziende devono prima placare questo genere di ansie: spiegare i vantaggi concreti di un prodotto grazie all’AI e aumentare le pratiche di trasparenza sull’utilizzo dei dati.

L’indagine, come in molti casi, non è naturalmente esente da limiti. Il primo consiste nell’esclusione delle potenziali differenze culturali che possano influenzare le intenzioni e la fiducia dei consumatori. Il secondo è il suo design trasversale, “che – come si legge nel paper – non tiene conto dell’evoluzione della conoscenza e degli atteggiamenti dei consumatori nei confronti dei prodotti basati sull’intelligenza artificiale nel tempo”. Il terzo riguarda l’esame limitato dei fattori che possono ulteriormente condizionare l’impatto del termine AI sull’intenzione di acquisto. C’è un ulteriore fattore, molto curioso: “La quarta limitazione del nostro studio è l’esclusione dell’influenza dell’antropomorfismo negli esperimenti – conclude il testo -. La letteratura sull’intelligenza artificiale suggerisce che il livello di antropomorfismo nei prodotti basati sull’intelligenza artificiale può avere un impatto sulla fiducia dei consumatori e sull’intenzione di acquisto”. Ma che bocca, occhi e orecchie su un tostapane possano aumentare la nostra propensione ad acquistarlo rimane tutto da vedere, AI powered o meno.

Fonte : Wired