Da qualche anno ogni estate torna immancabile il tormentone: video virali di gente che immerge nell’acqua di mare friselle, burrate, verdure e altri alimenti prima di consumarli. Una forma di condimento “naturale”, che attrae, altrettanto puntualmente, le critiche di chi reputa antigenici questi comportamenti, in particolare nei mari sovraffollati di bagnanti e imbarcazioni dei giorni nostri. Chi ha ragione, e perché?
Per iniziare, è bene ricordare che effettivamente quella di intingere friselle e gallette nell’acqua di mare, per ammorbidirle e salarle allo stesso tempo, era un’usanza comune in molte comunità di pescatori. Quando si partiva per lunghe spedizioni di pesca in mare aperto, d’altronde, era normale portare con sé lo stretto necessario per alimentarsi, e la possibilità di reidratare un pane a lunga conservazione senza sprecare preziosa acqua potabile era senz’altro benvenuta. Da qui, le ricette “tradizionali” di piatti come le friselle pugliesi o la capponadda ligure, che in passato (almeno secondo la tradizione) venivano bagnate in acqua marina prima di essere consumate.
Tradizioni e tempi moderni
Non tutto quello che è tradizionale è però necessariamente anche salutare. E i mari in cui navigavano i nostri antenati non erano sicuramente gli stessi in cui facciamo il bagno oggi: scarichi fognari, battelli a motore che disperdono idrocarburi e altre schifezze, e torme di bagnanti hanno certamente reso meno salubri le acque costiere rispetto a qualche secolo fa. E quindi quando immergiamo il cibo nel mare, non consumiamo solo il sale presente nell’acqua, ma anche tutto il corredo di virus, microorganismi e inquinanti che gli fanno compagnia.
Batteri fecali come l’Escherichia coli, gli streptococchi e gli entorococchi oggi sono una presenza relativamente comune nelle acque del mare, e possono causare disturbi gastrointestinali anche seri una volta ingeriti. Allo stesso modo, norovirus e altri agenti virali possono inquinare le acque marine e provocare fastidiose gastroenteriti una volta raggiunto il nostro apparato gastrointestinale.
Detto questo, le acque del mare vengono monitorate regolarmente dal Ministero della Salute e dalle agenzie regionali, che diramano bollettini periodici sulla situazione microbiologica e sulla balneabilità dei vari tratti di costa (la qualità delle acque è classificata secondo quattro classi: eccellente, buona, sufficiente o scarsa). Ed è quindi possibile verificare lo stato di salute delle acque prima di decidere se intingere, o meno, le proprie friselle nel mare.
Questo rende l’operazione priva di rischi? Non proprio, perché i controlli vengono effettuati con cadenza mensile, e la sfortuna è sempre dietro l’angolo. Ma ognuno di noi, in fondo, è responsabile per la propria salute (e innegabilmente, anche solo facendo il bagno ingeriamo quantità non trascurabili di acqua marina). Se vogliamo proprio utilizzare l’acqua marina in cucina, però, il modo più responsabile sarebbe bollirla e filtrarla, e usarla magari a quel punto per bollire la pasta senza bisogno di aggiungere il sale.
Fonte : Wired