Molti docenti precari della scuola secondaria stanno trascorrendo l’estate a studiare per l’orale del concorso. Le lamentele, come sempre, non mancano, intanto per la scarsa chiarezza circa i programmi, e poi per l’assurdità di certe domande (e anche per la tendenza del corpo docente a lamentarsi in generale per qualsiasi cosa). Osservando i materiali di studio, le discipline da sapere, e le modalità dell’esame, riemerge però un altro tema, difficilissimo da affrontare: quello del pari trattamento economico riservato nella scuola a docenti di discipline diverse.
C’è una notevole sproporzione tra le classi di concorso, perché alcune abilitano per l’insegnamento di più di una materia, come la A-12 (italiano, storia e geografia) o la A-50 (scienze naturali, chimica e biologia), mentre altre, come arte o francese, presentano una mole di argomenti da studiare molto inferiore. Non ne parla mai nessuno, e si ha quindi l’idea che, più o meno, preparare il concorso sia ugualmente difficile per tutti; ma la verità è che alcuni candidati devono memorizzare praticamente l’intero scibile umano, mentre altri no.
La sproporzione è evidente anche a scuola
Ovviamente ogni docente è laureato nelle discipline di sua competenza, quindi si suppone che abbia studiato tutto ciò che gli occorre per affrontare il concorso e poi insegnare (non è così, ma non ce ne occuperemo ora); ma in una prova in cui tutto si riduce, sostanzialmente, a una domanda sola – quella disciplinare – è evidente la differenza di difficoltà tra chi deve ripassare una materia sola e chi deve ripassarne tre.
Non si vuol fare qui una gerarchia delle materie, peraltro già esistente e segnalata anche dal monte ore scolastico; ma evidenziare un dato di fatto che non è facile discutere: gli insegnanti di alcune discipline lavorano più di altri. A scuola è la stessa cosa: un docente di italiano, sia alle medie che alle superiori, ha molte più cose da fare rispetto a tanti altri, eppure prende lo stesso stipendio. Molte cose da fare significa molte ore trascorse a lavorare a casa, per preparare e correggere non solo le verifiche ma anche le esercitazioni di scrittura. Abbiamo addirittura una classe di insegnanti pagati per insegnare una materia che non è nemmeno una materia, che non fa media e che non è obbligatoria; e sono pagati quanto quelli che insegnano fisica.
Naturalmente il mio discorso vale in caso di docenti che effettivamente lavorino. Certo essere abilitati per una classe di concorso non è garanzia di professionalità, e abbiamo tutti fatto esperienza almeno una volta nella vita di docenti incompetenti, pigri e parassiti, che hanno continuato serenamente a prendere lo stipendio fino alla pensione. Ma qui naturalmente si inserisce un altro tema spinoso, ben più ostico: il controllo delle prestazioni dell’insegnante e il suo eventuale allontanamento dalla scuola in caso di risultati deludenti, come accade normalmente per qualsiasi lavoratore dipendente che non faccia ciò per cui è pagato.
Difficile suggerire simili cambiamenti nella scuola italiana
In generale, criticare la scuola è uno sport quotidiano in Italia, ma discutere dei privilegi della categoria degli insegnanti e di certe assurdità che prendiamo come normali è quasi impossibile. Siamo abituati a pensare alla scuola come a quel luogo in cui si fa una gran fatica a entrare, ma una volta che ci si riesce, si è vinto: si starà lì per sempre, non importa la qualità del lavoro svolto. È invece proprio questa idea a dover essere sradicata, perché dà origine al lassismo e lo legittima, tra l’altro andando a discapito di tutti quei docenti che, pur non pagati adeguatamente, fanno il loro mestiere. Se entrassimo nell’ottica dell’insegnamento come un mestiere qualsiasi, non sarebbe affatto strano che chi ha più lavoro da fare a casa venga pagato di più, e chi insegna materie poco impegnative (dal punto di vista della preparazione delle lezioni e delle verifiche, e loro correzione) guadagni di meno.
Ma non è certo prossimo a venire il giorno in cui saremo pronti a questo discorso: principalmente la scuola oggi è fonte di un enorme commercio di libri inutili, crediti formativi altrettanto inutili, miserabili corsi a pagamento per acquisire un punto in graduatoria, e stupide nozioni da sciorinare a memoria affinché si dimostri di essere inclusivi. E, stando al rumore delle proteste, pare che ai docenti vada bene così.
Fonte : Today