Un nuovo giocatore è comparso improvvisamente in campo durante una delle partite più importanti in corso nel mondo, quella tra energia e ambiente. È l’idrogeno geologico. Può cambiarne le sorti, ha parecchio talento da “estrarre”, ma non sappiamo quasi nulla di questa new entry. Meglio allora chiedere un time out e conoscerla meglio. Da dove viene? In che ruolo gioca? Come si rapporta con i suoi compagni di squadra?
Eleggendolo soluzione definitiva per la crisi energetica e climatica in corso, molti hanno già iniziato una corsa all’oro per accaparrarselo. Il mondo della ricerca è invece impegnato in quella contro il tempo, per trovare delle risposte prima che inizi un’estrazione di massa frettolosa e “alla cieca”. La Groenlandia potrebbe custodirne parecchie e Alberto Vitale Brovarone, professore del dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Bologna, ha organizzato una missione speciale per andare a cercarle, nell’ambito del progetto quinquennale Erc DeepSeep finanziato dall’Unione Europea.
Estrarre con prudenza
I dieci giorni trascorsi in questa terra dalle rocce antiche quasi due miliardi di anni sono costati 70.000 euro e 6 mesi di preparazione su mappe e dati satellitari, ma ci hanno regalato campioni ricchi di H2 da studiare al rientro. Detto anche “gold”, questo idrogeno si forma sotto terra con una reazione chimica tra acqua e rocce ricche di ferro o con la radiolisi (scissione delle molecole d’acqua per effetto di radiazioni).
Lo si considera speciale e prezioso “perché se lo bruci, produce solo acqua, senza alcun impatto sull’ambiente – spiega Vitale Brovarone – da tempo se ne conosce l’alto potenziale perché, rispetto ad altri tipi di idrogeno, per essere prodotto non richiede energia. Dal punto di vista dell’industria va semplicemente estratto e si ha fretta di farlo, invece prima va compreso quanto ‘semplicemente’ e con quali conseguenze”. Questa potenziale risorsa di energia pulita sta spuntando anche laddove non ce lo si aspetta, interrogandoci sulle dinamiche con cui si accumula in giacimenti e sul ruolo che gioca negli ecosistemi del sottosuolo.
Se reagisce con substrati geologici o viene “lavorato” da alcuni microrganismi, l’idrogeno geologico può produrre metano o acido solfidrico. Vitale Brovarone usa questi due esempi per spiegare a Wired Italia che, “improvvisando”, con questo idrogeno si rischia di creare nuovi problemi, invece che risolvere gli esistenti.
Industrie pronte allo stoccaggio
Non conoscendo a fondo gli equilibri che da milioni o miliardi di anni regolano la presenza di H2 nelle rocce, prima di spezzarli estraendolo, meglio aspettare, secondo Vitale Brovarone. Lo stesso vale per l’idea di stoccare quello prodotto dalle industrie all’interno delle riserve nel sottosuolo. Ma l’idea di poterlo fare ha già entusiasmato molte big, spingendole a muoversi in tempi poco compatibili con quelli che il mondo della ricerca necessita per capire se questo gas è o meno inerte, quando e perché.
Fonte : Wired