“I prototipi che si riescono a creare con i nostri strumenti per stampa 3D a elevata fedeltà permettono a chi ha progetti ingegneristici di avere qualcosa in mano da presentare al mondo della produzione e su cui fare le prime valutazioni”, spiega Tallarico. Grazie alla produzione nativa digitale, si riescono ad avere anche i primi volumi, pre-serie o miniserie, con cui iniziare ad affacciarsi sul mercato e che servono per raccogliere dati e feedback. “Non è una via alternativa al percorso tradizionale, ma si tratta di de-risking – precisa -. Noi tendiamo a colmare il gap tra chi fa innovazione ma non ha mezzi per dimostrarne il potenziale di successo, e chi la cerca, per investirci, e non vuole scommettere alla cieca”.
Un’opportunità per le startup e per le aziende, quindi, ma anche per gli utenti finali. Consentendo alle buone idee di confluire verso chi le può realizzare e commercializzare, si può sperare in quella che Tallarico definisce “la democratizzazione che ci salverà dal rischio appiattimento di idee. Un declino fisiologico e inevitabile se si continua a lasciare le startup fuori dai giochi”.
Il design dove meno te l’aspetti
Parlando di “design” non facciamo riferimento esclusivamente a mobili e soprammobili, perché dietro a questo termine c’è un concetto più ampio, che oggi sta alla base dei processi di molti altri settori, anche se non sempre si vede. Il design abbassa i costi delle bici elettriche personalizzabili, permettendo di stamparle in 3D. Inoltre, riduce i consumi delle auto, perché migliora le performance di alcuni componenti, realizzandoli in materiali più leggeri. Quindi consente di allungare la vita alle auto d’epoca che si trovano chiuse in garage solo per mancanza di ricambi, creando pezzi sostitutivi da un semplice file.
Anche nel legame tra fashion e design, ci sarebbe tanto da dire e andando oltre alle questioni estetiche. La collaborazione tra questi due mondi può infatti dar vita a inaspettate iniziative di economia circolare in cui gli scarti tessili diventano materiale per stampa 3D. “Ci stiamo già lavorando – conferma Tallarico – e anche la cosmetica è molto interessata a questo stesso tipo di progetti. Le sinergie che il design può creare sono molto più numerose di quanto si pensi. Il nostro ecosistema è nato per favorirle”.
Il futuro del progettista
Aggiungendo connessioni, il numero di idee e di iniziative sta crescendo esponenzialmente. Tallarico e i suoi co-founder hanno quindi già in mente di trasformare DesignTech da semplice punto a rete di punti, per raggiungere chi innova in 3D ovunque si trovi. Complice sarà la testata Startupbusiness di recente acquisizione, online e bilingue, quindi pronta per l’Europa.
“Una innovazione distribuita e aperta favorirebbe scambi di idee e taglierebbe costi di spedizione e impatti ambientali: per esportare un prodotto basterà inviare il file di progetto e poi stamparlo in 3D sul posto. Inoltre, offrirebbe tanti dati non frammentati e open source per aiutare il settore a sfruttare meglio le opportunità dell’AI”, spiega Tallarico, immaginando il futuro di DesignTech. I giovani che ne visitano gli spazi possono sperimentare che cosa significhi diventare “design takers”, o progettisti di innovazione 3D.
Fonte : Wired