Microchip impiantati nel cervello, li avremo tutti nel futuro?

È possibile immaginare un futuro in cui le malattie neurologiche si trattano con microchip impiantati nel cervello e le informazioni mediche sono accessibili con un semplice tocco? Anche se questa può sembrare fantascienza, i progressi nelle interfacce cervello-macchina (Bci) e nel biohacking — che coinvolge l’uso di tecnologie per migliorare le capacità fisiche e cognitive del corpo umano — stanno trasformando questa visione in realtà, già oggi. Neuralink, l’azienda di Elon Musk sulla bocca di tutti, ha contribuito a rendere queste tecnologie più conosciute, mettendo in luce le potenziali applicazioni mediche dei microchip impiantati nel cervello di pazienti tetraplegici, ma anche i limiti e rischi di questa tecnologia. Ed infatti, l’integrazione di dispositivi elettronici nel corpo umano continua a sollevare preoccupazioni nella maggior parte delle persone: molti temono per la sicurezza dei propri dati personali e per i possibili abusi di queste tecnologie che includono scenari inquietanti come la manipolazione mentale e il suo utilizzo per scopi militari o di marketing.

Ecco perché in questo episodio di Grande Giove, il podcast di Wired, abbiamo provato a fare luce su questa frontiera tecnologica insieme a due esperti del settore. Fabio Boi, dottorato in Interfacce cervello-macchina presso l’Istituto italiano di tecnologia di Genova (Iit) e co-fondatore della startup Corticale, ha discusso con noi gli ultimi sviluppi nel campo delle interfacce neurali. Mentre Mattia Coffetti, esperto di cybersecurity e biohacker con ben 5 chip impiantati sotto la pelle, ci ha offerto uno sguardo sulle applicazioni pratiche del biohacking.

Le moderne interfacce cervello-macchina (Bci) operano su due principali livelli. In primo luogo, acquisiscono dati tramite i chip impiantati nel cervello del paziente, creando una sorta di “matrice di pixel” neurali che cattura l’attività bioelettrica dei singoli neuroni. Successivamente, questi dati vengono interpretati tramite algoritmi avanzati per comprendere l’attività cerebrale. In alcuni casi, le Bci non si limitano a raccogliere informazioni, spiega Boi, ma possono anche stimolare il cervello inviando segnali attraverso impulsi elettrici.Non solo possiamo acquisire informazioni dal cervello, ma possiamo anche inviare impulsi elettrici, che è esattamente il linguaggio con cui parla la nostra biologia neurale“, ha spiegato l’esperto.

Corticale, la startup biomedica italiana co-fondata da Boi, sta sviluppando questo tipo di tecnologia con l’obiettivo di trasformare il trattamento di disturbi neurologici. Una delle applicazioni più promettenti delle Bci è nel trattamento del Parkinson. “Impiantando un elettrodo in una zona molto profonda del cervello, grosso come una cannuccia, e inviando degli impulsi elettrici specifici, siamo in grado di far smettere in un lampo i tremori del paziente“. Questa tecnica, chiamata stimolazione cerebrale profonda (Dbs), è già in uso clinico. Come spiega Boi, “In 5-10 anni, potremmo vedere applicazioni nel trattamento della depressione, delle malattie neurodegenerative, e nel ridare mobilità a pazienti con lesioni del midollo spinale“.

Fonte : Wired