In un turbolento Medio Oriente, il regno hashemita ribadisce la sua stabilità, retta sugli accordi con Israele del 1994. Re Abd Allah II a Biden: il cessate il fuoco a Gaza primo passo per la de-escalation. Condannata l’incursione del ministro israeliano Itamar Ben Gvir nella Spianata delle Moschee. Continuano ad Amman le proteste che seguono la preghiera del venerdì dopo l’uccisione di Ismail Haniyeh.
Amman (AsiaNews) – La notte tra il 13 e 14 aprile i missili e i droni iraniani diretti verso Israele sono stati acclamati da chi ne ha scorto il passaggio nei cieli giordani. Allora sono stati filmati con gli smartphone, condivisi sui social, mentre era in atto una corsa contro il tempo per intercettarli: su questo le operazioni in Giordania sono state fondamentali. Ora che l’Iran minaccia da giorni un nuovo attacco se non si dovesse raggiungere un accordo per un cessate il fuoco a Gaza, re Abd Allah II, tre giorni fa, incontrando una delegazione statunitense ha affermato che la Giordania “non diventerà un campo di battaglia”, ribadendo la stabilità del Paese in una regione che da troppo tempo teme un’escalation del conflitto. Un equilibrio che si regge sul trattato di pace del 1994 con Israele, che nessuno è intenzionato a mettere in discussione, e che negli ultimi mesi ha permesso anche le operazioni umanitarie nella Striscia, avallate dalla monarchia.
Re Abd Allah II il 5 agosto scorso in collegamento telefonico con Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, partner fondamentale del regno hashemita, ha sottolineato la necessità di una de-escalation nella regione: la cessazione delle ostilità nella Striscia di Gaza per la Corte reale è il primo passo per impedire il dilagare del conflitto. Sono poi state condannate con fermezza le violenze dei coloni israeliani contro gli insediamenti palestinesi, sottolineando quanto ad essere presi di mira sono anche i luoghi santi cristiani e musulmani di Gerusalemme.
Parole premonitrici, che hanno anticipato l’incursione di due giorni fa del ministro Itamar Ben Gvir, dell’estrema destra ortodossa, nella Spianata delle Moschee nel giorno di lutto e digiuno di Tisha B’Av. Si è levata corale la condanna del gesto contrario allo status quo da parte di Usa, Ue, Onu, e della stessa Giordania. La visita “riflette l’insistenza del governo israeliano e dei suoi membri estremisti a ignorare il diritto internazionale e gli obblighi di Israele come potenza occupante”, si legge in una dichiarazione raccolta da un portavoce del ministero degli Esteri di Amman.
Intanto la Giordania non rimane comunque immune dall’instabilità regionale, alimentata dal costante botta e risposta tra Israele e Hezbollah e la minaccia iraniana. Il gruppo Lufthansa ha annunciato la sospensione dei voli da e per Amman, Tel Aviv, Teheran, Beirut ed Erbil fino al 21 agosto. La stessa decisione è stata presa da altre compagnie aeree, che intendono evitare di sorvolare soprattutto Iran e Iraq, considerati spazi aerei pericolosi. Il turismo, settore portante dell’economia giordana, sta senz’altro risentendo delle turbolenze in Medio Oriente. Solo a Petra, 28 strutture alberghiere con una capacità di oltre mille stanze, hanno chiuso i battenti. Il numero di turisti è diminuito di circa l’8% nei primi sei mesi dell’anno rispetto al 2023, con una riduzione degli introiti del 4,9%.
Inoltre, nel Paese in cui negli ultimi mesi la Coca-Cola è sparita dagli scaffali dei supermarket a causa di una collettiva operazione di boicottaggio contro le aziende accusate di sostenere Tel Aviv (spopola al suo posto la nuova cola locale “Matrix”), continuano le proteste iniziate lo scorso marzo e intensificatesi nelle ultime due settimane dopo l’uccisione a Teheran di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas. Centinaia di manifestanti si radunano ad Amman dopo la preghiera del venerdì, a Downtown e nei pressi dell’ambasciata d’Israele, da mesi non più operativa. La capitale è tappezzata di bandiere della Palestina. La sofferenza della popolazione, per oltre la metà di origine palestinese, è palpabile. Non è così inusuale trovare la dicitura “Free Gaza” nella ricevuta di un ristorante del centro, oppure la scritta “Palestine. Dying to live” sull’acqua minerale venduta nei locali di Jabal al-Weibdeh, quartiere moderno e benestante.
Fonte : Asia