Hovenkamp invece dubita che la vendita di Google search possa aumentare la concorrenza, perché il servizio rimarrebbe popolare in ogni caso: “Vendere Google Search significherebbe trasferire la posizione dominante a un’altra azienda – afferma –. Non so quale tipo di spartizione potrebbe funzionare“.
Anche alcuni analisti finanziari che seguono la società madre di Google, Alphabet, sono scettici, mentre altri esperti legali immaginano un futuro in cui i risultati delle ricerche sono forniti da Google e gli annunci pubblicitari arrivano da un’altra società nata dalla divisione di Big G. Non è chiaro come quest’ultima soluzione influenzerebbe gli utenti, e ci sarebbe il rischio di ritrovarsi con annunci pubblicitari meno pertinenti e più invadenti.
Maggiore condivisione
Nella sua sentenza Mehta sostiene che Google offre agli utenti un’esperienza superiore ai rivali in virtù del fatto che riceve miliardi di query in più rispetto a qualsiasi altro motore di ricerca. Questi dati alimentano poi i progressi degli algoritmi della società, che decidono quali risultati mostrare in base a una determinata ricerca.
Rebecca Haw Allensworth, docente di diritto alla Vanderbilt University che ha seguito il caso, sostiene che uno dei rimedi più aggressivi sarebbe quello di obbligare Google a condividere i dati o i suoi algoritmi con i concorrenti, in modo che possano progredire a loro volta. “I tribunali non amano forzare la condivisione tra rivali in questo modo, ma d’altra parte il giudice sembra molto preoccupato del modo in cui la condotta di Google ha privato i suoi rivali di quello di cui hanno realmente bisogno per competere a livello di database – sostiene la docente –. Ordinare una condivisione dei dati risponderebbe direttamente a questa preoccupazione“. Potenzialmente le informazioni condivisibili potrebbero includere tutte le query che gli utenti effettuano su Google e i risultati su cui cliccano, aggiunge Bazbaz di DuckDuckGo.
Un’alternativa sarebbe permettere a Google di mantenere i propri dati obbligando il gigante a fornire invece un servizio (e un’adeguata assistenza clienti) che consenta ad altre applicazioni di estrapolare i risultati forniti dall’azienda e presentarli agli utenti come parte di un’offerta rivale.
“Solo un rimedio su più fronti permetterà ai rivali [di Google] di entrare nel mercato e di competere equamente per i consumatori sulla base dei meriti del proprio prodotto“, afferma Lee Hepner della no-profit antitrust American economic liberties project.
Qualsiasi approccio che preveda la condivisione di dati da parte di Google solleverà probabilmente questioni relative alla privacy degli utenti. Se rafforzati, inoltre, i rivali del gigante avrebbero maggiori possibilità di assicurarsi che i loro motori di ricerca vengano impostati come opzione di default, obbligando chi preferisce utilizzare Google ad azioni aggiuntive per tornare a Search.
Vigilanza e comunicazione
Il compito di proporre a Mehta le misure a cui dovrà sottostare Google – e che la società potrà eventualmente impugnare – spetta al dipartimento di Giustizia americano.
In altri casi antitrust, Google ha già trovato il modo di continuare a limitare la concorrenza mettendo in campo modifiche a livello di prodotti e politiche. “Google farà tutto il possibile per ostacolare i progressi“, afferma Bazbaz, che spera che Mehta istituisca un organo di monitoraggio per garantire che Google si attenga allo spirito delle decisioni.
Ma Bazbaz sostiene che il colosso dovrebbe essere tenuto anche a investire in iniziative educative che mettano gli utenti al corrente dei vantaggi che possono ottenere cambiando motore di ricerca.
Questo articolo è comparso originariamente su Wired US
Fonte : Wired