Antichi bacini di laghi prosciugati e cenni di delta di fiumi, ampia varietà di minerali e specifiche tipologie di terreni: tutto suggerisce la presenza di acqua sulla superficie di Marte. Quando? Miliardi di anni fa. Ora, se la si cerca liquida, pronta all’uso, è abbastanza improbabile trovarla: lo sappiamo da tempo, anche se alcuni coltivano ancora una vana speranza. Allora dove è andata? A questa domanda ora abbiamo trovato una probabile risposta, che potrebbe almeno in parte consolarci dal sogno infranto dall’assenza di risorse idriche per la colonizzazione del Pianeta rosso.
Marte conserva ancora acqua in forma liquida, la custodisce a decine di chilometri di profondità, in piccole fessure tra rocce. A svelarlo è stato un gruppo di ricercatori, presentando su Proceedings of the National Academy of Sciences i risultati della certosina e lunga analisi fatta sui dati di geologia superficiale forniti dal lander chiamato Mars InSight. Un nome, un destino: insight significa letteralmente “approfondimento”, ma in questo caso è soprattutto l’acronimo di “Interior Exploration using Seismic Investigations, Geodesy and Heat Transport”, la sintesi della mission affidata a questo robot, gestito dal Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa ma con due strumenti scientifici su tre costruiti da agenzie europee.
Profonde infiltrazioni di acqua
Questa nuova scoperta ci aiuta a risolvere il grande dilemma dell’acqua su Marte. Quella che un tempo rendeva florido questo pianeta, oggi così essiccato e polveroso da essere considerato invivibile, è andata verso l’esterno oppure verso l’interno? Fino a ieri, poteva essersi trasformata in un gas, evaporando e disperdendosi nello spazio, come anche essersi “nascosta” nelle viscere del pianeta, restando intrappolata tra rocce in forma liquida o solida (ghiaccio).
Grazie ai rover di Mars InSight che da novembre 2018 a dicembre 2022 hanno percorso avanti e indietro una buona parte della superficie di Marte, oggi possiamo propendere sulla seconda ipotesi. I tantissimi dati riguardanti le variazioni di “rumore” (le onde acustiche generate dall’attività sismica all’interno del pianeta), hanno infatti permesso ai ricercatori di studiare la densità e la composizione dei materiali attraversati e che le hanno generate. Mesi e mesi di lavoro, ma alla fine questi numeri hanno svelato la natura profonda di Marte, quella a decine di chilometri sotto la sua superficie, nello specifico quella tra gli 11,5 e i 20 chilometri.
Il “piede di porco” usato per aprire lo scrigno di segreti blindati nei dati raccolti sul campo è il modello geofisico usato per dar loro un plausibile significato. Non è detto che lo si debba inventare da zero, anzi, spesso se ne utilizza uno già noto e che ben descrive le dinamiche analizzate. Così è successo anche stavolta e il modello scelto è esattamente quello che sulla Terra ci serve per mappare falde acquifere sotterranee e giacimenti di petrolio. Ha funzionato anche nelle fasce interne di Marte, suggerendo che l’acqua un tempo presente sulla sua superficie è lì , ed è in parte rimasta allo stato liquido, ricavandosi piccoli spazi nelle crepe tra enormi rocce, molto simili al nostro al granito.
Cosa racconta l’acqua liquida nascosta
A questi livelli di profondità, è molto poco probabile che l’acqua identificata risulterà mai utile, nella remota ma affascinante ipotesi di andare ad abitare su Marte. Questo non vuol dire che sia da ignorare: è molto preziosa per capire come si è conservata nel tempo e per permettersi di avanzare nuove ipotesi sulla potenziale abitabilità del pianeta rosso, sia nel passato che nel presente.
Circa 3 miliardi di anni fa Marte era un pianeta umido. Ora che sappiamo dove è finita molta dell’acqua che lo rendeva tale, possiamo formulare nuove ipotesi sul clima che potrebbe esserci anche nel futuro, più coraggiosamente ma anche più fondatamente. Sia al suo interno, sia sulla superficie che il rover di InSight ha passato in rassegna.
Chissà se è in arrivo un “Mars InSight 2”, un’evoluzione del precedente, dotato di sismometro all’avanguardia e ampio spazio dati. È passata solo una manciata di anni dal suo ritiro, ma l’innovazione tecnologica corre. Una nuova missione potrebbe raccontarci le caratteristiche del poco ghiaccio d’acqua rimasto sulla crosta superiore e della tanta acqua conservata in profondità. Tanta – così sostengono i ricercatori – da riempire interamente quegli antichi oceani fino a poco tempo fa inspiegabili.
Fonte : Wired