Basta proroghe delle concessioni balneari. Il messaggio dell’Antitrust, arrivato il 12 agosto, è chiaro e sembra voler bloccare in anticipo le intenzioni del governo di allungare tutte le concessioni balneari fino al 31 dicembre 2025. Si era già espresso in questo senso in passato, con pareri motivati indirizzati sia ai Comuni che al Parlamento, ma stavolta l’Antitrust lo segnala in maniera estesa sia all’Anci che alla Conferenza Stato-Regioni. L’obiettivo è quello di bloccare in maniera definitiva le violazioni alla direttiva Bolkestein e agli effetti distorsivi provocati dai rinnovi automatici.
Oltre all’idea di appellarsi alla necessità di mappare le spiagge, tra i membri del governo circolano ancora varie opzioni: garantire un diritto di prelazione ai titolari o stabilire cospicui indennizzi ai balneari uscenti. Nessuna di queste possibilità risulta però in linea né con le norme vigenti né con le posizioni espresse dai giudici sia italiani che europei. Intanto a Napoli, con due ordinanze gemelle, il Tar della Campania ha stabilito con chiarezza che la pubblica amministrazione non può contingentare gli accessi alle spiagge, sulla base di timori per l’ordine pubblico, privando i cittadini, ‘di qualunque fascia di età e condizione sociale, di godere del bene pubblico spiaggia”. Una sentenza importante, che apre un nuovo capitolo nella durissima battaglia per l’accesso al mare.
La posizione dell’Antitrust
Il Garante per la concorrenza ha intimato di avviare rapidamente le procedure di gara, in modo da assegnare i nuovi bandi entro la fine di quest’anno. Mentre l’esecutivo punta a ritardare le gare appellandosi alla mappatura delle spiagge, l’Antitrust ribadisce invece che la risorsa demaniale è scarsa, risultando in alcuni casi inesistente per i nuovi potenziali concessionari. In pratica, le spiagge libere sono troppo poche. In termini di gerarchia tra norme, il Garante chiarisce che la legge europea prevale su quella nazionale, quindi il Milleproroghe che ha autorizzato finora l’allungamento delle concessioni cederebbe il passo davanti alla direttiva Bolkestein. Infine, pur volendo dare applicazione alla legge italiana, i “casi eccezionali” a cui sono si sono appellate molte località turistiche per evitare le gare e rinnovare i contratti esistenti non rispettano la normativa, appoggiandosi su circostanze “infondate”.
Come Meloni vuole sfruttare la mappatura delle spiagge
A Roma finora Meloni e il suo governo non si sono arresi neppure di fronte a sentenze, proteste e norme giuridiche. L’obiettivo autentico va ben oltre il 2025 e punta ad autorizzare una proroga fino al 2030. Palazzo Chigi intende ricorrere alla verifica della mappatura delle spiagge in modo tale da sfruttare un passaggio specifico della direttiva Bolkestein. La norma dell’Ue sancisce infatti che ciascuno Stato membro può operare una valutazione “valida per tutto il territorio nazionale”. In alternativa può “privilegiare un approccio caso per caso, che ponga l’accento sulla situazione esistente nel territorio costiero” o combinando questi approcci. Se dalla mappatura dovesse emergere che in alcune regioni o tratti costieri non sussiste scarsità nell’accesso al mare, allora il governo potrebbe ricorrere alla proroga. Ecco trovato l’alibi.
Lo sciopero dei balneari è stato un flop. Servono più spiagge libere”
La decisione che stabiliva il divieto di proroghe risale al 2021, quando il Consiglio di Stato ha fissato la scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2023. Qualunque ulteriore proroga, avevano precisato i giudici, è da considerarsi illegittima. Ad aprile 2023, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha confermato la decisione dei magistrati italiani. Eppure il governo è rimasto sordo alle sentenze sia della corte italiana che di quella europea ed è determinato a proseguire questo regime di illegalità sulle spiagge della Penisola.
Bandi rimandati al 2027 e al 2029
L’escamotage della mappatura delle spiagge permetterebbe di modulare i bandi di gara con questa tempistica: nelle regioni dove risulti libero meno del 25% delle coste, le nuove gare sarebbero fissate entro il 2027. Scadenza posticipate invece al 2029 invece nel caso in cui questa percentuale risultasse superiore al 25%. Come evidenzia la giurista Vitalba Azzollini su Domani, il piano del governo ignora però uno dei passaggi chiave della valutazione del Consiglio di Stato. Anche nei casi specifici in cui non venisse verificata la scarsità, sussiste comunque l’obbligo di procedere alle gare, hanno precisato i giudici. Il fondamento giuridico deriva dagli “interessi transfrontalieri certi” connessi alle concessioni, basati sulle norme del Trattato sul funzionamento dell’Ue. Un interesse che, come ricordato dai massimi giudici amministrativi nel 2021, derivano dalla “eccezionale capacità attrattiva” esercitata dal patrimonio costiero italiano grazie alla sua vocazione turistica. Al di là del diritto dell’Ue, ad imporre la messa al bando delle concessioni è la loro stessa natura: temporanee, soggette a scadenza e non rinnovabili in maniera automatica.
L’inganno di Salvini sul diritto di prelazione
In uno studio commissionato nel 2017 dall’Unità sui diritti dei cittadini e affari costituzionali dell’Ue in materia delle concessioni, si ricordava come la Commissione europea avesse già redarguito l’Italia il 5 maggio del 2010, quando al governo c’era Silvio Berlusconi. In una lettera in cui contestava le norme italiane in materia di concessioni demaniali, i funzionari europei sottolineavano come le norme italiane, tramite il rinnovo automatico ogni sei anni, conferiscono “una posizione privilegiata ai prestatori uscenti che hanno la possibilità di vedersi rinnovare la concessione senza che sia stata applicata una procedura imparziale e trasparente”. Oltre un ventennio dopo la situazione non è mutata. Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, che per anni aveva promesso di superare o cancellare la Bolkestein, di fronte all’ineluttabilità delle sentenze ha adottato una nuova strategia.
Adesso rivendica la necessità di applicare un “diritto di prelazione” in capo ai concessionari attuali e la previsione di un indennizzo in caso di perdita della gara, come requisiti da applicare alla direttiva di Bruxelles. Questo “vantaggio” per i balneari finora titolari è però espressamente vietato dalla Bolkestein, nel momento in cui vieta di accordare “vantaggi” ai balneari uscenti. L’unico modo per aggirare questo divieto sarebbe quello di riconoscere nei bandi gara dei criteri che accordino la priorità a dei soggetti che hanno già maturato un’esperienza pregressa nella gestione di lidi. Una possibilità contemplata nell’art 5 della norma che ha accolto la Bolkestein nel lontano 2018, dove si stabilisce che i comuni, oltre ai “requisiti di capacità economico-finanziaria” necessari per chi partecipa alla selezione, possono stabilire “altri requisiti di capacità morale e professionale che ritengono opportuno richiedere”.
La questione dell’indennizzo
La questione dell’indennizzo risulta ancora più spinosa. Da un lato la norma suppone che i gestori attuali abbiano avuto modo di rientrare dalle spese sostenute, tenuto conto della lunga durata dei contratti di cui hanno goduto finora. Dall’altro lato, dato che dovrebbe essere il nuovo concessionario a sostenere le spese dell’indennizzo, questo costituirebbe un disincentivo per chi volesse partecipare alle gare. Verrebbe meno insomma quel principio di tutela della concorrenza che è alla base della direttiva. La parola indennizzo non compare in alcun articolo della legge, quindi risulta un’invenzione pura e semplice del ministro leghista. Nonostante le norme siano chiare e le relative sentenze altrettanto, la preoccupazione delle procedure di infrazione in cui l’Italia incorrerebbe nel caso di ulteriori proroghe non sembra preoccupare né Meloni né i suoi alleati di governo. A pagare le sanzioni, alla fine, sarebbero comunque i cittadini. Privati delle spiagge e anche delle risorse per viverle meglio.
Fonte : Today