Google Maps ha un rivale da 20 anni. E funziona benissimo. Stiamo parlando di OpenStreetMap, una piattaforma community-driven pensata per mettere a disposizione di aziende e sviluppatori un’ampia gamma di dati geografici e mappe, in modo che questi possano fare affidamento in minor misura sullo strumento di Big G. Nato da un’idea dell’ingegnere Steve Coast, OpenStreetMap ha celebrato da poco i suoi primi 20 anni di “carriera”, dimostrando le potenzialità di questo progetto open source. “Due decenni fa, sapevo che una mappa wiki del mondo avrebbe funzionato – ha scritto Coast in un post condiviso sul suo blog -. Sembrava ovvio alla luce del successo di Wikipedia e Linux. Ma non sapevo che OpenStreetMap avrebbe funzionato fino a molto tempo dopo”.
Ma OpenStreetMap è qualcosa di più complesso di Wikipedia. Allo stato attuale, vanta più di 10 milioni di collaboratori, che aggiornano costantemente i dati geografici della piattaforma, fornendo dettagli precisi su strade, edifici, fiumi, canyon e quant’altro. Tutto il lavoro parte da immagini aeree e mappe pubblicamente disponibili, o fornite da governi e società private come Microsoft, a cui poi i collaboratori possono aggiungere e aggiornare dati attraverso gli appositi strumenti di modifica di OpenStreetMap. In questo modo, aziende e sviluppatori possono accedere sempre a mappe aggiornate. La Open Database License della piattaforma, infatti, consente a qualsiasi azienda di terze parti – sia che si tratti di colossi come Apple che di unicorni del settore tech – di utilizzare i propri dati con l’attribuzione appropriata.
Insomma, un successo tutt’altro che irrilevante, che potrebbe davvero cambiare il modo in cui noi tutti ci approcciamo a dati geografici e mappe. “OpenStreetMap è riuscito a mappare il mondo e a distribuire gratuitamente i dati senza spendere quasi nulla – ha chiosato Coast-. È riuscito a evitare quasi tutti i problemi di Wikipedia, che rappresenta solo fatti e non opinioni. Se OpenStreetMap è un mezzo, qual è il messaggio? Per me è che possiamo passare da niente a qualcosa, o da zero a uno“.
Fonte : Wired