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Da Parigi 2024 gli Azzurri tornano con un bottino di 40 medaglie come in Giappone, ma la vittoria del volley femminile rende storica e positiva l’Olimpiade di Parigi 2024.
Alla fine di questi Giochi olimpici di Parigi 2024 molto carichi di aspettative e pressioni per la delegazione italiana, a commento dell’intera spedizione si potrebbe riassumere tutto con una sola frase, presa in prestito dal titolo di un libro di Paolo Sorrentino: hanno tutti ragione.
Prima della partenza c’erano due partiti, come accade sempre più spesso in Italia e non solo. C’erano i grandi ottimisti, i quali parlavano apertamente di 50 medaglie possibili. La loro ipotesi era basata sulla profondità sportiva che in questi ultimi tre anni l’Italia aveva espresso e anche sul fatto che le medaglie della Russia dovevano in qualche modo essere ridistribuite e una fetta sarebbe toccata a noi.
C’erano poi i real-pessimisti, i quali sottolineavano come quest’ultimo sia stato un triennio fantastico per il nostro sport ma che alla prova olimpica tante di quelle stelle che presentavamo al mondo a Parigi, sarebbero venute meno sul palcoscenico più grande. Alla fine dei conti hanno avuto ragione entrambi gli schieramenti perché le 50 medaglie erano davvero possibili, avendone vinte tante con degli outsider ma non arrivando sul podio con tanti nostri atleti favoriti, in molti casi numeri uno dei rispettivi ranking o campioni del mondo. Proprio per questo motivo, hanno avuto ragione pure gli altri, perché tanti atleti in odore di medaglia quasi sicura per motivi molto diversi hanno fallito l’assalto olimpico.
Una cosa però è certa e molto probabilmente su questo concordano davvero tutti gli italiani: con la vittoria del volley femminile questa edizione diventa comunque storica e molto positiva. Parlando poi dei diversi sport, iniziano a venire fuori delle tendenze interessanti paragonando l’Olimpiade di Parigi con quella di Tokyo. Nuoto, ciclismo, vela, scherma, canoa e canottaggio sono discipline in cui abbiamo vinto più o meno le stesse medaglie di tre anni fa.
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Sono mancate del tutto le medaglie nel tiro con l’arco, in Giappone erano state due, mentre siamo calati nell’atletica leggera passando dagli incredibili 5 ori di Tokyo alle 3 medaglie di Parigi e soprattutto negli sport di combattimento. In Giappone abbiamo vinto 7 medaglie tra boxe, karate, judo, taekwondo e lotta, mentre quest’anno, al netto del karate che non è più disciplina olimpica, le medaglie sono soltanto 2 con una lunga coda di polemiche soprattutto nella boxe. Anche il sollevamento pesi è passato da 3 medaglie a 1.
Poiché le medaglie sono 40, il numero esatto di Tokyo (ma con 2 ori in più), questi sport che sono andati male sono stati compensati da altri, come la ginnastica, passata da 2 a 5 medaglie, dal tennis, 2 medaglie arrivate dopo tempo immemore e anche il tiro in cui abbiamo riaffermato la nostra tradizione, passando da 1 a 4 medaglie. Continuando poi nel paragone con i Giochi olimpici di tre anni fa, gli atleti che sono riusciti a restare in zona medaglie non sono pochi. Parliamo dell’inseguimento a squadre maschile nel ciclismo su pista, Diana Bacosi anche se questa volta in team con Gabriele Rossetti, Gregorio Paltrinieri, Nicolò Martinenghi, le squadre di spada e fioretto femminile, il doppio pesi leggeri del canottaggio con Soares e non più Ruta in barca, Nino Pizzolato, la squadra di ginnastica ritmica, Elia Viviani e i due fenomeni vincitori di tutto, Ruggero Tita e Caterina Banti. Questi back-to-back, insieme ai tanti di atleti stranieri, spiegano in parte che enormi differenze, se non si considerano fattori prettamente fisici, nel corso del triennio non si sono create.
Poi ci sono le donne e gli uomini, gli atleti che hanno rappresentato l’Italia in questi Giochi. Le carte da medaglia più pesanti che non sono riuscite a centrare l’obiettivo purtroppo per noi e per il “target 50” sono tante. Basti snocciolare i nomi di Leonardo Fabbri nel getto del peso, Abbes Mouhiidine nella boxe pesi massimi, Tommaso Marini nel fioretto individuale, Assunta Scutto nel judo 48 kg, Irma Testa nella boxe pesi piuma, Riccardo Pianosi nel kitesurf, Matteo Zurloni nello speed climbing, Vito Dell’Aquila nel taekwondo 58 kg, per finire con i due campioni olimpici nella marcia, Antonella Palmisano e Massimo Stano, l’altro oro di Tokyo Gianmarco Tamberi nell’alto, per non parlare della 4×100 mista nel nuoto non arrivata neanche in finale nonostante schieravano due freschi campioni olimpici nella rana e nel dorso.
I motivi per cui questi atleti non sono riusciti a ottenere una medaglia sono davvero i più vari, si va dai problemi fisici alle decisioni a volte assurde (vedi Abbes) dei giudici, per finire con la difficoltà di dormire nel villaggio olimpico, ma purtroppo sono tutte cose che devono essere messe sul piatto olimpico ogni volta diverso. Se queste carte sono andate perse, per restare sulle 40 medaglie abbiamo trovato delle ottime contromisure in atlete e atleti che invece all’inizio erano considerati degli outsider. Chi il 27 luglio immaginava Nadia Battocletti, Consonni–Guazzini, Filippo Macchi, Consonni-Viviani, Paolo Monna, Manila Esposito, Ginevra Taddeucci andare a medaglia, in alcuni casi d’oro, o era un inguaribile ottimista o un profeta da seguire. Se proprio dobbiamo scegliere un sottotitolo all’Olimpiade italiana, potrebbe proprio essere l’Olimpiade degli outsider, mai così tanti a medaglia per noi negli sport più diversi.
E insieme a questo ovviamente, la marea di quarti e quinti posti che abbiamo ottenuto. A fine Giochi sono 20 quarti e 17 quinti posti che non possono non testimoniare la capacità italiana di esserci in quasi tutte le discipline olimpiche, lottando per le posizioni di prestigio. Queste posizioni però sono da pesare e valutare una per una, considerando età, possibilità future e momento in cui l’atleta ha ottenuto la posizione ai piedi del podio. Non tutti i quarti posti sono uguali e se quelli di Benedetta Pilato e Larissa Iapichino profumano fortemente di futuro, quello di Simona Quadarella o di Chiara Pellacani, con la prima che avrà altri quattro anni di nuoto sulle spalle per poterci riprovare e la seconda che aveva la chance della vita anche grazie al fatto che nella gara del trampolino 3 m una cinese aveva sbagliato i suoi primi tuffi, hanno tutto un altro sapore. Solo l’atleta sa che valore, dolore o piacere dare a un quarto posto.
E terminiamo con le facce azzurre di questa edizione, scegliendole, come per i portabandiera, considerando due sessi. La faccia femminile non è una medaglia d’oro e questo fa già specie, ma come non premiare la capacità di Nadia Battocletti di arrivare dove si pensava nessuna europea (al di là di Sifan Hassan, anche lei di origine etiopica) sarebbe mai potuto arrivare. Il quarto posto dei 5000 e l’argento dei 1000 metri davanti a tutta l’Africa tranne il doppio oro olimpico Beatrice Chebet, è quasi incredibile.
La faccia maschile invece non è quella di un atleta, ma di un allenatore. Julio Velasco ha realizzato un sogno, da quel che si è capito più nostro che suo, ma forse per questo motivo così meravigliosamente atteso. Velasco è il maestro che ci ha guidato. Seguirlo da oggi in poi, nello sport di sicuro ma anche nella vita, non farebbe male, dovrebbe essere un nostro comandamento.
Fonte : Fanpage