Ha costruito un device di intelligenza artificiale che vive con noi. Ascolta le nostre conversazioni, capisce il contesto, memorizza, impara e ci aiuta a vivere meglio. Sfrutta la tecnologia ambientale e l’Artificial intelligence. Si porta al polso come un bracciale, ha 60 ore di batteria. Lei è Maria de Lourdes Zollo e la sua startup si chiama Bee, perché come un’ape ci gira intorno. È una sorta di assistente personale capace di memorizzare le nostre abitudini e semplificarci la vita. Di giorno ascolta di cosa abbiamo bisogno, di sera ci prepara una lista di cose da fare, seleziona le priorità, e le fa al posto nostro. Con la sua startup, Zollo ha appena raccolto 7 milioni di euro: il round di finanziamento è guidato da Exor Ventures. Gli altri investitori sono Greycroft, New Wave VC, Banana Capital e Brian Bedol.
Lei vive a San Francisco e alle sue spalle ha già una carriera piena di esperienze straordinarie. Ha lavorato in Cina, per il colosso dei videogiochi Tencent. A Londra è stata la dipendente numero 3 di quello che poi sarebbe diventato TikTok. Ha lavorato in Squad, una startup di co-watching che poi è stata acquisita da Twitter.
Segni particolari: 30 anni appena compiuti, una forte propensione imprenditoriale, e una visione profondamente olistica della vita. «Il modo in cui stiamo vivendo è sbagliato. Non dovremmo dedicare così tanto tempo al lavoro, soprattutto quando ci allontana da ciò che conta. Sono io stessa un paradosso: non condivido questo modello di vita, eppure lavoro incessantemente. Quando guardo lo schermo del mio smartphone, mi prende l’ansia. Dentro di noi esistono energie opposte, Yin e Yang, che riflettono la nostra stessa natura. È naturale sentire il bisogno di essere attivi e di fare molte cose: è parte della nostra condizione umana. Tuttavia deve esserci un equilibrio, un’energia Yin che bilanci l’iperattività. Sento il bisogno di ritrovare la mia pace interiore, medito e faccio yoga».
In Bee, il co-founder è Ethan Sutin, un pioniere della Personal AI, appassionato fin dal 2017. I due insieme hanno già lavorato sia in Squad sia da Twitter. Secondo TechCrunch, gli investitori hanno scommesso tutto sul pedigree della squadra.
«L’intelligenza artificiale può restituirci tempo, liberandoci da ciò che ci sottrae vita: come leggere le notifiche, rispondere alle mail, prenotare ristoranti, fare acquisti. Bee è una sorta di microfono, attualmente in fase beta, che non solo registra ma vive il contesto in cui ci muoviamo, capisce i nostri gusti, le nostre routine e ci aiuta a essere più efficienti. Ma, sia chiaro, il controllo di quello che sente, resta sempre nelle nostre mani: basta un pulsante per spegnere il registratore». Il settore degli AI Agent è un campo altamente competitivo. Altre startup, come Rabbit, si stanno muovendo. «La nostra visione non è che AI ci ruberà il lavoro ma che aiutandoci a essere più produttivi, diventerà per noi uno strumento di benessere, che ci permetterà di seguire le nostre passioni».
Nata a Caracas, mamma venezuelana, papà italiano, Zollo arriva in Italia a 5 anni. Destinazione Parma: «Una città bellissima ma che mi stava tanto stretta». A 14 anni è già innamorata di Internet. Passa ore sul suo computer. È una piccola nerd che rivende borse online e sogna di costruire community. Poi si iscrive al liceo classico. «Sono stata bocciata e ho imparato presto che il fallimento fa parte del processo di vita. È da lì che puoi riemergere, in altre forme».
Laurea in relazioni internazionali alla Statale di Milano. Durante quegli anni, va in Australia per imparare l’inglese: si mantiene facendo l’insegnante in italiano. Torna, finisce gli esami e mentre sta preparando la tesi fa una application alla multinazionale cinese di videogame: Tencent. «Mi hanno chiamata dicendomi: devi venire a Shenzhen tra dieci giorni. Non avevo ancora consegnato la tesi, avevo solo 22 anni. Sono partita e mi sono ritrovata a lavorare per una delle più grandi aziende tech del mondo. È stato psicologicamente molto provante. Orari terribili, lavoravamo tutti i giorni, tutto il giorno. Dormivo e cenavo in azienda. Avevo 5 giorni di ferie l’anno. Ma ho imparato tantissimo. Perché mi hanno lasciato libera di esprimermi. Sono entrata per tradurre i videogiochi dall’inglese all’italiano, poi mi sono occupata di community, localizzazione, marketing. Infine sono diventata responsabile del lancio dei videogiochi nei mercati europeo e sudamericano. Alla fine è come se avessi fatto un master. Ma a un certo punto però la Cina ha iniziato a pesarmi… ero l’unica donna del team, l’unica occidentale, e dopo quasi due anni mi sono detta: voglio lavorare in un ambiente più piccolo». È in quel momento di crisi che riceve un’offerta da Londra. La chiama Musical.ly, una piccola startup che 7 mesi dopo sarebbe diventata TikTok. «Era l’inizio di tutto, eravamo in 3 persone a Londra, 5 a Los Angeles e 5 a Shanghai. Io mio occupavo d spingere e lanciare sul mercato europeo l’App, per farla diventare il nuovo Instagram».
Sette mesi, nel 2017, Musical.ly è acquisita dal colosso cinese ByteDance, per quasi un miliardo di dollari ed è diventata TikTok. «Ma appena siamo diventati troppo grandi, io ho iniziato ancora a cercare un luogo più piccolo, dove mettere in gioco il mio spirito imprenditoriale». Inizia a lavorare per Squat. «Quando sono entrata, l’azienda era in fase pre-seed: poche risorse, grande potenziale. Lavoravamo tutti da remoto. Era la startup del mio attuale co-founder. Era focalizzata su un prodotto innovativo: il co-watching, ossia la possibilità di guardare contenuti come Netflix a distanza ma insieme, attraverso il telefono. Era un’idea pre-Covid. Ma con l’arrivo della pandemia, il nostro prodotto è esploso, attirando l’attenzione di molti investitori. Alla fine Squad è stata acquisita da Twitter».
Arrivata a questo punto, Zollo decide di imparare tutto ciò che può per lanciare la sua startup. «Ogni esperienza lavorativa è stata orientata a questo obiettivo. Squad è stata una scelta strategica: ammiravo i founder e volevo imparare da loro. Così con Twitter: ho visto un’opportunità per apprendere altre competenze, non per fare carriera. Mi sono occupata di Twitter Spaces. Un giorno, però, ho capito che era il momento di andare avanti».
La sua prima startup, Bluush, utilizza l’intelligenza artificiale per consigliare prodotti di beauty da acquistare. In un giorno raccoglie 1,5 milioni di euro da un investitore francese. Da Blush nasce Bee: «Ho fatto tante scelte che non rifarei, ma credo che il mio “game changer “ sia stata la mancanza della paura di sbagliare. Mio padre si è trasferito in Venezuela, dove ha conosciuto mia madre. Era un imprenditore con diverse aziende, ma ha perso tutto per colpa di situazioni politiche. La cosa interessante è che quel fatto non ha colpito direttamente me, perché quando sono nata, non c’era già più nulla. Non c’era niente da perdere. Anzi, c’era qualcosa da riprendere. Da ricostruire. Ma vedere cosa vuol dire il “fallimento” negli occhi di un padre, mi ha profondamente motivata a dire: «Vamos. Costruiamo».
Buttandosi Zollo ha comunque sofferto. «Mi sono spesso sentita sbagliata, “prematura” nel mio percorso. A volte ciò che sembrava una figata, mi creava un profondo disagio. Come se dicessi a me stessa: non sono pronta, non sono brava abbastanza brava. Ancora oggi che faccio startup, c’è una parte di me che mi fa mettere in discussione. È difficile silenziare quella voce, ma ho capito che posso avere una conversazione con quel lato, è giusto che ci siano insicurezze, e che poi sono quelle che spingono a fare meglio».
Hai subìto discriminazioni in quanto donna? «Due anni fa, ti avrei risposto “no, assolutamente no, nessun pregiudizio, nessun problema”. Ma ho iniziato a sentire la differenza dentro di me. Nel mondo tech, non esistono modelli femminili. Non ci sono Mark Zuckerberg, Steve Jobs, Elon Musk al femminile. Questo inconsciamente ti fa pensare che non arriverai mai lì, che quel posto non è per te. Lo sai, anche se nessuno te lo dice apertamente. Guarda il mondo degli investimenti: è evidente che non ci siano gli stessi fondi dedicati alle startup fondate da donne. Di chi è la colpa? Di tutti. Meno fondi dagli investitori, meno founder donne. E perché? Chiediamocelo. Non abbiamo modelli a cui aspirare. Sogno un giorno in cui saremo semplicemente founder, senza differenze di genere. Sogno che le donne imparino a usare le loro qualità, l’intuito, la creatività, la sensibilità, a proprio vantaggio. Senza snaturarsi. Dobbiamo tutte smettere di cercare di essere tech bro. E poi sì, vorrei tornare in Italia e fare la mia parte per risvegliare un po’ il campo tecnologico».
Maria Zollo sarà alla Italian Tech Week 2024 a Torino.
Fonte : Repubblica