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Enrica Pasquali, 49 anni, è l’operatrice della Centrale operativa 118 Emilia Est di Bologna che pochi giorni fa ha aiutato i familiari di un ragazzino di 12 anni, affetto da una patologia congenita, a soccorrerlo mentre era andato in arresto cardiaco. Il fatto è accaduto ad Argenta, in provincia di Ferrara. Ecco cosa ha raccontato a Fanpage.it.
A sinistra, l’infermiera e operatrice del 118 Enrica Pasquali, 49 anni.
L’infermiera Enrica Pasquali, 49 anni, è l’operatrice della Centrale operativa 118 Emilia Est di Bologna che pochi giorni fa ha aiutato i familiari di un ragazzino di 12 anni, affetto da una patologia congenita, a soccorrerlo mentre era andato in arresto cardiaco. Il fatto è accaduto ad Argenta, in provincia di Ferrara.
Seguendo con una videochiamata tutte le fasi del primo intervento, coraggiosamente eseguito dal papà e dal fratello 13enne del paziente, l’operatrice ha gestito con loro la situazione, permettendo ai soccorritori del 118, giunti rapidamente sul posto, di trovare i presupposti per salvare la vita al giovane. Ecco cosa ha raccontato a Fanpage.it.
Come sono andate le cose?
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Allora, in un primo momento, non si capiva la gravità di ciò che stava accadendo perché il papà mi aveva detto che il bimbo era svenuto ma respirava ancora e mi ha spiegato subito che era seguito al Sant’Orsola per una cardiopatia. Inizialmente, quindi, io ho dato indicazioni per uno svenimento. Dopo qualche minuto però mi ha riferito che non respirava e allora ci siamo attivati per fare le manovre per la rianimazione cardio-polmonare.
Sul posto c’erano il padre, il bambino di 12 anni e il fratellino di 13. Grazie al fatto che quest’ultimo è particolarmente bravo con la tecnologia, siamo riusciti subito a collegarci con il sistema che consente, grazie all’invio di un SMS, di interagire con la fotocamera del telefono e di vedere tutta la scena. Questa cosa è stata fondamentale perché così l’operatore è in grado di assistere e di guidare i presenti.
La seconda cosa importante è stata che la famiglia non è andata nel panico, nonostante la gravità della situazione. La fiducia che si è instaurata subito tra noi è stata la carta vincente. Non hanno perso tempo o fatto cose che non servissero, si sono subito adoperati. Il 13enne inquadrava, era testimone e partecipante, e il papà, che ha anche lui una patologia cardiaca, si è messo subito a fare il massaggio.
Qual è stato il suo primo pensiero?
L’intervento è stato rapidissimo e questo ha permesso ai soccorritori di trovare un cuore defibrillabile. La mia premura, visto che oltre a un’operatrice del 118 sono anche un genitore, è stata quella di essere il più tranquilla possibile per non traumatizzare il fratello più grande. Come mamma, mi sentivo davvero emotivamente coinvolta e cercavo di non renderlo una vittima in un’età così delicata. Non potevo pensare che fosse testimone di un evento tragico senza potersi sentire utile.
Ed è riuscito anche ad alternarsi al papà che era molto stanco. Vedendo che a un certo punto non riusciva a massaggiare in modo efficace, ho chiesto al fratello di provare lui. Il massaggio cardiaco è impegnativo, anche se su un ragazzo di 12 anni è più semplice, ma vedere il proprio figlio in quelle condizioni è emotivamente devastante, lo è stato anche per me che lavoro sia in ambulanza e automedica che qui in centrale operativa. È difficile poterli vedere ma non aver modo di confortarli di persona.
Quali sono le difficoltà che possono presentarsi in queste situazioni?
Uno degli scogli maggiori di quando si è al telefono è che la gente non si fida, si rischia di perdere tempo perché alcuni si arrabbiano, cercano in rete e pensano di avere tutte le risposte. Quando c’è la collaborazione di tutti, invece, come in questo caso, l’intervento fluisce per il meglio. Nella mia esperienza, dare un compito, seppur piccolo, aiuta le persone a farle sentire di aver fatto il loro meglio.
Un altro scoglio è quello generazionale perché non tutti sono in grado di utilizzare bene la tecnologia. Alcuni non sanno più mandare gli SMS, usano solo Whatsapp. Il servizio di videochiamata è fondamentale perché, in questo caso, ha un certo punto è entrata la nonna che non riusciva a fare un massaggio efficace, quindi, le ho detto, per rendersi utile, di uscire, di chiamare qualche vicino e di andare incontro all’ambulanza.
Abbiamo avuto la fortuna che tutto si è concluso per il meglio, i colleghi arrivati con l’ambulanza sono stati molto incisivi, hanno fatto tutto quello che dovevano. Il sistema funziona se tutti i tasselli lavorano uno dietro l’altro.
Ci dev’essere sempre questo filo diretto con chi è sul posto.
Sì, è vincente il sistema di operatori che lavorano sia dentro che fuori, che durante la loro carriera hanno ricoperto ruoli diversi. Questo dà la dimensione del sistema 118, è importante anticipare e comprendere il lavoro del collega, collaborare.
Le informazioni raccolte dall’operatore sono essenziali, come quelle, per esempio, sul luogo dove bisogna intervenire. Anche in questo la tecnologia ci aiuta e ci rende più semplice il lavoro, grazie alla geolocalizzazione.
Noi veniamo formati per cercare di aiutare chi c’è dall’altra parte del telefono. Ne parlavo con altri colleghi e sarebbe bello che, visto che a livello normativo stanno digitalizzando tante cose, ci fosse la possibilità di insegnare a tutti i cittadini come comportarsi in questi casi.
Molto spesso le persone non sanno cosa fare in diverse situazioni di emergenza. Manca un po’ un’educazione in questo senso, anche a scuola dovrebbero essere insegnate queste cose. In questi tempi la tecnologia va veloce e dovremmo cercare di formare le persone in questo senso.
Cosa ha provato durante l’intervento? Un po’ di paura?
Sì, assolutamente, siamo umani, prima di essere infermieri. Resta il fatto che ho cercato di mettere da parte la mia parte emotiva, se non quella utile a creare un rapporto di tranquillità e fiducia, a far sentire loro che noi eravamo una squadra per portare a casa il risultato.
Indubbiamente, quando si conclude la telefonata e tu sei da sola con te stessa, puoi permetterti di dare spazio alla tua parte più emotiva. Sono l’allenamento sul campo e la formazione continua che ci aiutano a essere così strutturati. Abbiamo colloqui con gli psicologi, se dovessimo averne bisogno. E anche il supporto degli altri colleghi è veramente importante.
Fonte : Fanpage