“Di Gaza non resta nulla, non c’è più nemmeno posto per seppellire la gente: serve la pace”

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Conflitto Israelo-Palestinese

Il governo israeliano nega il visto al capo dell’Ocha Andrea De Domenico: “Il loro intento è quello di screditare il lavoro delle Nazioni Unite”, dice in una intervista a Fanpage.it. Sulla Striscia di Gaza: “I livelli di disumanità in cui si è arrivati hanno superato qualsiasi limite immaginabile”.

Intervista a Andrea De Domenico

capo dell’OCHA, l’agenzia delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari dell’ONU per i territori palestinesi occupati

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Lascia Gerusalemme dopo 5 anni e mezzo Andrea De Domenico, capo dell’OCHA, l’agenzia delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari dell’ONU per i territori palestinesi occupati. “Non è stata una mia scelta, ho abbandonato il campo perché sono stato costretto”, spiega a Fanpage.it con l’amaro in bocca. De Domenico è stato di fatto cacciato dal paese dal momento che Tel Aviv, il primo agosto, non gli ha più rinnovato il visto.

De Domenico nel suo ufficio di Gerusalemme

De Domenico nel suo ufficio di Gerusalemme

Perché non le hanno rinnovato il visto?

Quando il Segretario Generale ha pubblicato il rapporto sui bambini e i conflitti armati, in cui Israele è nella lista nera, Tel Aviv ha subito detto che avrebbe preso delle misure punitive nei confronti delle Nazioni Unite. All’epoca il mio visto stava scadendo e me lo rinnovarono solo per un mese, dal primo luglio al primo agosto. Credevo fosse quella la mia ‘punizione’, invece al momento della richiesta del rinnovo mi arrivò una chiamata del ministero degli Affari Esteri che mi chiedeva se stessi facendo le valigie. A quel punto ho capito. Mi hanno detto: “Ti abbiamo dato un mese ed è l’ultima volta che rinnoviamo il suo visto”. Quando ho chiesto il motivo di questa decisione loro mi hanno detto chiaramente che il rapporto sui bambini era stata la ‘goccia che aveva fatto traboccare il vaso’. Dopodiché hanno negato il visto anche a una collega che doveva venire a fare solo un paio di mesi per l’estate, credo perché hanno pensato fosse un’opportunità per rimpiazzarmi.

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Le Nazioni Unite cosa hanno fatto?

Ho cercato personalmente di muovere gli Stati membri e ho chiesto di fare pressione sul governo israeliano. Alcuni lo hanno fatto, altri no. Ma alla fine non sono riusciti a ottenere nulla, il governo israeliano ha ribadito che questa è una decisione irrevocabile. Adesso non sappiamo se riusciremo a mandare qualcuno che prenda il mio posto, è chiaro che l’intento israeliano è quello di screditare il nostro lavoro, è un modo per colpire ancora una volta le Nazioni Unite.

Qual è stata la spiegazione ufficiale data dal governo israeliano?

Israele non mi ha mai dichiarato persona non grata in maniera ufficiale. Ufficialmente non sono tenuti a dare spiegazioni. Uno stato sovrano decide autonomamente se vuole far uscire dal paese dei funzionari delle Nazioni Unite o meno. È una decisione sovrana, anche se in questo caso si tratta di un territorio occupato, dove Israele estende il proprio controllo anche sul territorio palestinese. Detto questo, sarebbe nella prassi dei paesi più ‘allineati con la legalità internazionale’, dare una motivazione ufficiale per un’azione del genere. E invece Israele ha scelto di non darla.

Negare i visti di funzionari ONU da parte di un paese membro che ripercussioni ha nel rapporto con il resto degli Stati membri?

Io credo che chiudere le porte al dialogo sia una sconfitta per qualsiasi Paese, è la sconfitta rispetto agli obblighi e al valore della presenza delle Nazioni Unite e degli operatori umanitari. Per questo credo sia veramente un segnale negativo per la comunità internazionale e per la comunità umanitaria in particolare. Ed è una cosa, secondo me, a cui gli Stati membri dovrebbero prestare molta attenzione, perché stiamo permettendo immense violazioni del diritto internazionale umanitario. È un problema che va visto nell’ottica dell’erosione dello spazio umanitario. Le considerazioni politiche le faranno gli israeliani. E poi se non le fanno loro, le farà la comunità internazionale, spero.

Dall’inizio dell’offensiva a Gaza sono stati negati molti visti a diverse Ong e operatori umanitari, crede ci sia un intento mirato di eliminare la loro presenza sul territorio, da parte di Israele?

Quello che abbiamo visto è che gli israeliani hanno facilitato alcune organizzazioni e hanno negato l’accesso ad altre. Aiutando solo chi sta alle loro condizioni. Quindi non è un un rifiuto tout court dell’assistenza umanitaria, ma un controllo capillare di cosa si può e cosa non si può fare nel paese. Il sette ottobre i ministri del governo israeliano dicevano “nulla entrerà più a Gaza” e qualche settimana dopo hanno cominciato a fare entrare gli aiuti umanitari ma con il contagocce. Quindi in realtà, secondo me, più che una volontà di impedire l’assistenza umanitaria, è quella di controllarla e accettarla con il contagocce.
Il 90% dei cooperanti che ad oggi opera in Cisgiordania e Gerusalemme Est non ha più il visto di lavoro. Ma quello del visto turistico è un palliativo che prima o poi finirà. Verremo tutti cacciati dal paese, come è successo a me. Ciò che è sicuro è che gli israeliani non vogliono occhi internazionali che vedano e raccontino ciò che sta accadendo. Lo rende evidente il fatto che siamo a dieci mesi di guerra e non c’è ancora un corrispondente internazionale che sia stato accettato all’interno della striscia di Gaza. C’è una chiara volontà di nascondere, di non far vedere, di dare il tempo di ripulire l’orrore prima che occhi internazionali lo possano testimoniare.

Lei è stato a Gaza lo scorso maggio, come descriverebbe la Striscia oggi?

Il segretario generale a novembre disse: “Gaza sta diventando un cimitero per bambini”. Oggi la Striscia non è più neanche questo. Di Gaza non resta più nulla. Non c’è più nemmeno il posto per seppellire in pace la gente. Anche i cimiteri a Gaza sono stati oggetto di operazioni militari, perché o si cerca il tunnel o si cercano i cadaveri che potrebbero essere degli ostaggi. Quindi i livelli di disumanità in cui si è arrivati nella Striscia hanno superato qualsiasi limite immaginabile. Eppure l’uomo fa anche questo e per questo in nome dell’umanità, abbiamo bisogno di un cessate il fuoco e di una pace duratura non solo per le persone in Palestina e in Israele, ma per tutti noi come esseri umani. Il pericolo è diventare immuni all’orrore. I palestinesi a Gaza vivono nella miseria più assoluta, nella disperazione cieca, e sono disumanizzati, non solo nella narrativa, ma anche nella pratica. La gente ti chiede continuamente ‘ci considerate ancora delle persone o per voi siamo animali?’ Una donna lo ha chiesto al nostro coordinatore umanitario l’ultima volta che è andato a Gaza, l’ha guardato in faccia e gli ha detto: “Per lei sono ancora una donna o una bestia?”

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Fonte : Fanpage