L’intelligenza artificiale può aiutarci a sconfiggere il crimine?

Se è vero che il crimine si evolve e si organizza di continuo, lo stesso accade anche per chi lo combatte. Negli ultimi anni, le forze di polizia e gli esperti di criminologia hanno cominciato a utilizzare strumenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di intelligenza artificiale, per affinare le loro strategie di intervento. Sebbene questi strumenti abbiano portato a risultati positivi in diversi casi, non sono mancati dibattiti e critiche sul loro utilizzo. In questo episodio di Grande Giove, il podcast di Wired dedicato a scienza, tecnologia e innovazione, abbiamo discusso di come gli strumenti avanzati di analisi dei dati e intelligenza artificiale, possa giocare un ruolo cruciale nella prevenzione e nel contrasto della criminalità. Ospiti della puntata sono Gian Maria Campedelli, ricercatore presso il Mobile and Social Computing Lab della Fondazione Bruno Kessler ed esperto di sociologia computazionale, e Gianmarco Daniele, economista e direttore esecutivo della Clean unit dell’Università Bocconi.

In realtà, sottolinea Campedelli, l’intersezione tra criminologia e tecnologia non è una novità assoluta: “C’è una tradizione, soprattutto anglosassone e in modo particolare quella statunitense, che già negli anni Ottanta iniziava ad esplorare le prime interconnessioni possibili fra l’utilizzo di scienze di dati, sistemi esperti e lo studio della criminalità“. Daniele evidenzia l’importanza dei dati nella scienza moderna, anche quella sociale che analizza i comportamenti degli umani in società: “A partire dagli anni Novanta c’è stata una rivoluzione legata all’uso massivo dei dati e alla disponibilità di software che permettono di analizzarli. Oggi il 90% delle ricerche economiche riguarda studi basati su una quantità enorme di dati“. Tuttavia i dati disponibili non possono dirci tutto, specie quando si parla di attività che vorrebbero rimanere nascoste. “C’è tutta una parte di reati, come la criminalità organizzata e la corruzione che non sono denunciati: un numero oscuro su cui non sappiamo effettivamente niente“, spiega Daniele.

Eppure, anche in questo caso, la tecnologia ci può venire in aiuto. I due ricercatori stanno sviluppando un progetto innovativo che utilizza il machine learning per prevedere quali comuni italiani sono più a rischio di infiltrazione mafiosa, anche senza avere a disposizione i dati delle denunce. Campedelli spiega: “Utilizziamo dati sulla spesa pubblica dei comuni italiani dal 2001 al 2020 e dati sulla composizione del consiglio comunale, della giunta e del sindaco in carica. L’idea è di utilizzare queste variabili perché la criminalità organizzata, quando si infiltra nella politica locale, ha lo scopo sia di infiltrare il consiglio comunale e la giunta sia di modificare l’allocazione dei fondi pubblici“.

Tuttavia, l’uso di questo tipo di tecnologie solleva alcune preoccupazioni. Negli Stati Uniti, alcuni software di predictive policing hanno mostrato problemi di bias. “Si arrivava a questo meccanismo tecnicamente detto di feedback loop, dove fondamentalmente alcune aree venivano continuamente sottoposte allo scrutinio della polizia“, spiega Daniele. Il dibattito sull’equilibrio tra sicurezza e privacy rimane aperto. “Nessuno qui è fan dell’idea dello stato di polizia“, afferma il ricercatore, sottolineando però che alcune applicazioni tecnologiche potrebbero essere utili se ben regolamentate.

Fonte : Wired