Il bullismo cinese contro Taiwan vince anche alle Olimpiadi

Quando la nazionale di Taiwan ha vinto alle Olimpiadi di Parigi 2024 la storica medaglia d’oro nel doppio di badminton maschile contro la squadra rivale cinese, si è evidenziato ancora una volta come le dinamiche politiche caratterizzino anche lo sport. Tanto che, sul podio, i due giocatori taiwanesi di badminton non hanno potuto cantare l’inno nazionale, né vedere scendere sul loro capo la bandiera di Taiwan. 

Il momento della premiazione della gara di badminton: la bandiera cinese (a sinistra), quella di Taipei Cina (al centro) e quella malaysiana (a destra)

Questa, purtroppo, non è una novità. Taiwan non partecipa ai Giochi Olimpici col nome “Taiwan” oppure “Repubblica di Cina” (nome ufficiale dell’isola), ma come “Taipei Cinese”. Una scelta lessicale importante, che mostra quanto la Cina abbia esercitato (e continui a farlo) il suo potere anche nelle organizzazioni sportive e nelle istituzioni internazionali. 

La denominazione di “Taipei Cinese” e l’assenza della bandiera e dell’inno taiwanese sono frutto di un compromesso che proprio il governo di Taiwan ha raggiunto con il Comitato Olimpico Internazionale nel 1981, quando nell’isola vigeva ancora la legge marziale e il Guomindang era il partito unico, che sognava un giorno di riprendere il controllo della Cina continentale. Poi, tale denominazione è entrata in uso anche in altri ambiti per evitare incidenti diplomatici con la Repubblica Popolare Cinese, nome ufficiale della Cina continentale. Insomma, per contenere la collera del gigante asiatico. 

Ma le cose sono cambiate moltissimo da quel lontano 1981. Il periodo del Terrore bianco a Taiwan (che aveva imposto la legge marziale) si è concluso nel 1987 e le prime elezioni libere si sono tenute nel 1996. Le ultime, nel gennaio del 2024, hanno affidato la guida del governo di Taipei al democratico Lai Ching-te, internazionalmente conosciuto come William Lai, che ora deve far fronte alle costante e sempre più pressanti minacce del presidente cinese Xi Jinping che, entro il 2027 (anno del centenario ella fondazione dell’Esercito Popolare di Liberazione), ambisce alla riunificazione di Taiwan della madrepatria. Che è, per il leader cinese, una certezza storica.  

La partita di badminton: scontro sportivo o politico?

Arriviamo alla partita di badminton. Quella mostrata dalle televisioni e dai social di tutto il mondo durante questi Giochi Olimpici è la dura opposizione ai sostenitori degli sportivi taiwanesi anche sugli spalti dell’Arena Porte de La Chapelle. È il caso di Angelina Yang, studentessa taiwanese che vive e studia in Francia. La giovane ha voluto assistere il 4 agosto scorso alla partita di badminton tra la nazionale cinese e quella taiwanese e, consapevole delle dinamiche politiche che ruotano attorno a Taiwan – rivendicata da Pechino come territorio cinese – e delle regole olimpiche, ha realizzato quello che pensava fosse un cartello non controverso: il contorno della sua isola natale, con le parole “jiayou Taiwan” (forza Taiwan) scritte in cinese. Lo ha mostrato durante il match per pochi secondi, prima dell’arrivo di un uomo cinese che lo ha strappato dalle sue mani. 

Angelina Yang e il cartello controverso - Fonte XIl ministero degli esteri di Taiwan ha descritto l’episodio come violento e contrario ai valori olimpici di amicizia e rispetto. Ha chiesto alle autorità francesi di indagare. In risposta, il Comitato Olimpico internazionale si è difeso nascondendosi dietro “regole molto chiare”, che vietano gli striscioni. Il portavoce del CIO, Mark Adams, è intervenuto a chiarire che l’episodio rientra nell’insieme di norme e condizioni di ingresso alle sedi olimpiche indicate agli spettatori su ogni biglietto. Chi entra negli stadi delle Olimpiadi sa che può esporre solo bandiere dei Paesi e dei territori partecipanti ai giochi e proibiscono qualsiasi striscione che esprimano messaggi politici.

Fin qui tutto chiaro, se non fosse che dietro l’azione di alcuni uomini della sicurezza sugli spalti dell’Arena parigina sembra esserci la mano della Cina. I media taiwanesi citano un post e un video girato da uno YouTuber taiwanese, che si fa chiamare Pourquoi La France, che mostra una donna cinese impartire l’ordine alle guardie di sicurezza dello stadio olimpico di ritirare gli striscioni ai tifosi taiwanesi durante la finale di doppio di badminton maschile. Lo YouTuber ha raccontato che la donna cinese ha ordinato “alla sicurezza e ai volontari di sequestrare tutti gli striscioni relativi a Taiwan”, a cui ha poi distribuito regali per ringraziarli della loro “cooperazione”.

Il post dello Youtubrt taiwanese pourquoilafrance

L’accusa più grave è stata mossa dall’analista politico di Taipei, J. Michael Cole, secondo cui la donna cinese avrebbe dato indicazioni al personale di sicurezza su “quali striscioni dovessero essere rimossi”. Tra questi c’erano cartelli con la scritta “Let’s Go Taiwan”, “Tai WAN No. 1” e “Bon Courage” (buona fortuna in francese). Non c’è stato quindi nulla da fare per i supporter taiwanesi: i loro cartelli di sostegno verso gli atleti di Taiwan, pur non contenendo messaggi o simboli politici, sono stati rimossi dagli uomini della sicurezza olimpica, che hanno risposto e obbedito alle pressioni esercitate dalla Cina anche in ambito sportivo internazionale. C’è chi lo chiama nazionalismo, ma sarebbe più appropriato definirlo bullismo “con caratteristiche cinesi”.

Fonte : Today