Imane Khelif e le altre: quale è il vero punto del dibattito sulle atlete intersex

Il caso di Imane Khelif, la pugile algerina che ha sconfitto per ritiro l’italiana Angela Carini nelle Olimpiadi di Parigi, ha riacceso il dibattito internazionale sul tema delle donne intersex nello sport femminile. Sui social si è scritto di tutto in merito, anche informazioni oggettivamente false, ed è dunque importante mettere alcuni punti fermi sulla questione. Innanzitutto non siamo di fronte a un uomo, e nemmeno a un’atleta transgender, poiché Imane Khelif non ha effettuato alcuna transizione di genere: è nata donna ed è stata socializzata come tale. Dunque non si può parlare di “Disforia di genere”, poiché non vi è alcun conflitto tra l’identità di genere (come Imane si percepisce) e il genere assegnato alla nascita. Alle Olimpiadi ci sono stati dei casi di atlete transgender escluse.

Il vantaggio delle atlete intersex

Quello più recente riguarda la nuotatrice Lia Thomas, sospesa dalla federazione internazionale di nuoto, nonostante i continui ricorsi. Anche la federazione di pugilato aveva squalificato Khelif negli ultimi mondiali, ma in questo caso il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) ha deciso autonomamente, ammettendo l’atleta algerina, insieme alla taiwanese Li Yuting. Entrambe avevano fallito il test del genere, che aveva identificato dei cromosomi XY, ma per il CIO quello che conta è il livello di testosterone, che per entrambe rientrebbe nei parametri. La questione del testosterone è importante: il punto non è solo quanto testosterone hai nel sangue al momento del controllo del CIO, ma anche quanto ne hai prodotto prima o quanto ne produci durante la competizione. Soprattutto nella fase dello sviluppo muscoloscheletrico, è infatti dimostrato che una produzione di testosterone assimilabile a quella maschile, produce nelle donne intersex un vantaggio competitito significativo, che non può essere negato.

E’ doping naturale?

Dunque la questione non è se il vantaggio fisico ci sia o meno (perché c’è), quanto piuttosto se tale vantaggio dovrebbe essere considerato come un qualsiasi altro vantaggio genetico, che nello sport esiste, oppure se dovrebbe essere considerato come un vantaggio anomalo e dunque meritevole di squalifica. Una sorta di “doping naturale”, come lo hanno definito in molti. C’è infatti anche chi ha paragonato tale vantaggio a quello dei giocatori di basket, che sono più alti e più muscolosi della media, dimenticando forse però che il pugilato è uno sport diverso da questo punti di vista.

A differenza del basket, e della maggior parte degli sport, la boxe divide i propri atleti per categorie di peso proprio perché un evidente vantaggio fisico falserebbe la competizione. La questione è anche e soprattutto di sicurezza: non si tratta di un banale sport di contatto, ma di uno sport che prevede l’aggressione fisica diretta. La questione dunque è completamente diversa rispetto a quella che riguarda la pallacanestro o sport similari. Capirete dunque che il tema è molto complesso e ancora dibattuto, anche all’interno della comunità scientifica internazionale. C’è chi vorrebbe creare una categoria a parte per le atlete intersex e trans, come accade già per le Paralimpiadi, e chi sostiene che sarebbero in un numero troppo esiguo o che si tratterebbe di una scelta discriminatoria.

Purtroppo sui social il dibattito è presto scaduto in un confronto ideologico, soprattutto dopo l’intervento di diversi politici, sia di destra che di sinistra, che hanno cercato di strumentalizzare la vicenda a proprio vantaggio, trascinandosi dietro l’elettorato come una sorta di tifoseria. Molti ne hanno approfittato anche per esternare liberamente i propri pregiudizi transfobici, e ciò, a mio parere, dimostra come questa decisione, apparentemente “inclusiva”, rischi invece di trasformarsi in un boomerang per la battaglia stessa.

Fonte : Today