Siamo fenomenali anche senza Sinner

Una medaglia è per sempre. È vero che ogni tennista, nessuno escluso, avrà sempre come primo sogno nel cassetto la vittoria di uno Slam o la poltrona di numero 1 del mondo. Ma poi arrivano i Giochi di Parigi e vedi, nell’ordine: una leggenda vivente come Rafa Nadal che scende in campo al 20% della sua condizione ed è comunque pronto a portare oltre il limite un fisico martoriato pur di difendere i colori della Spagna un’ultima volta; l’addio al tennis di Sir Andy Murray, un altro che su quel rettangolo ha lasciato ogni goccia di sudore possibile e con un’anca di metallo; e infine, il cannibale Djokovic, a cui mancava l’oro Olimpico per sentirsi davvero il più forte di tutti (più forte sì, ma più grande?) e ha sfoderato una prestazione mostruosa per non lasciarsi sfuggire la medaglia che fa rima con storia.

Ma soprattutto, noi di questa penisola, abbiamo ammirato il cuore e il talento di Lorenzo Musetti, che sembra proprio aver deciso di diventare il campione che è destinato ad essere. E poi il trionfo di Sara Errani e Jasmine Paolini, il nostro doppio dei sogni che ha fatto risuonare l’inno di Mameli sul Philippe Chatrier 14 anni dopo l’impresa di Francesca Schiavone.

E allora inizi a pensare che forse per qualcuno, ma non per tutti, le Olimpiadi rappresentano davvero qualcosa di speciale e unico nella storia di un atleta, anche se giochi a tennis e devi prosciugare energie fisiche mentali a poche settimane da uno Slam e senza la ricompensa di qualche punto ATP o WTA. “Nel 2008 Rafa aveva appena vinto Roland Garros e Wimbledon, e si stava giocando il primo posto con Federer – mi ha confidato il grande coach Emilio Sanchez, all’epoca capitano della Davis spagnola -. Gli spiegai che una medaglia con la Spagna lo avrebbe fatto uscire dal suo sport e lo avrebbe trasformato in un campione universale. Venne a Pechino, vinse l’oro e mi ringraziò di quel consiglio”.

Sara e Jasmine, le ragazze d’Italia

Tra quarant’anni si parlerà ancora del 2024 di Jasmine Paolini. La stagione dei record di McEnroe è ancora lontana (nel 1984 lo Yankee giocò 85 incontri in singolare perdendone soltanto 3), ma Jasmine sta riscrivendo la storia del nostro tennis. Da gennaio a oggi, ha già giocato 81 match tra singolo e doppio, ottenendo 62 successi. Finali a Parigi e Londra, vittoria in un 1000, il quinto posto mondiale e adesso l’oro a Cinque Cerchi. Sempre con quel sorriso stampato in faccia che bilancia una volontà fuori dal comune: “Il fatto di lottare è una cosa che mi è stata chiesta fin dai miei primi allenatori, ma per me è un requisito fondamentale per uscire dal campo felice – mi aveva raccontato a Roma, lo scorso maggio, proprio Jasmine -. Perdere o vincere è importantissimo, fa la differenza, ma uscire dal campo avendo il dubbio di non aver dato tutto forse è peggio di una sconfitta”.

I non habitué dello sport del diavolo se ne saranno accorti in questa avventura Olimpica dopo la dolorosa eliminazione nel terzo turno del tabellone di singolare ad opera della Schmiedlova. Due ore e mezza di gioco che avrebbero steso chiunque. Jasmine si è fatta una doccia, è tornata in campo al fianco di Sara e ha sconfitto le francesi Garcia-Parry in un’altra battaglia di nervi conclusasi 10-8 al tie-brek del terzo set.

Allenata da uno dei coach più preparati che si possano trovare in circolazione nei cinque continenti (Renzo Furlan), Jasmine ha ora il compito più bello e difficile allo stesso tempo: convincersi che, vista la strada già percorsa, ora nulla, ma proprio nulla, gli è precluso.

Sara Errani con i suoi 37 anni ha già vissuto almeno quattro vite. Prima era la mascotte della Fed Cup azzurra, quando guardava dal basso verso l’alto le campionesse Schiavone, Pennetta e Vinci. Poi è diventata lei il riferimento per tutte, con le finali al Roland Garros e a Roma perse contro Sharapova e Serena Williams. Eccola, sempre protagonista, in un doppio da leggenda con Roberta Vinci, un duo capace di imporsi a New York, Parigi, Londra e due volte in Australia, con tanto di primato mondiale. Poi il baratro, la squalifica, la lenta risalita e i pregiudizi. Se qualcuno, nel tormentato biennio 2017-2018, avesse pronosticato la Errani campionessa Olimpica ai Giochi 2024 lo avrebbero probabilmente dichiarato incapace di intendere e di volere. Invece Sara è ripartita ancora una volta. Tornando a frequentare tornei minori, in posti sperduti, e con il passare degli anni ha scoperto una verità assoluta: oggi non esiste nel circuito una doppista più forte di lei. Doveva solo individuare la compagna ideale. Trovata Jasmine, al destino non rimaneva che fissare data e torneo dell’impresa. Con l’oro Olimpico sui campi del Roland Garros, Sara è entrata nel club di chi ha completato il Career Golden Slam. Serve altro?

Dopo Djokovic e Alcaraz, c’è Lorenzo il Magnifico

Lorenzo Musetti e tutto ciò che riesce a produrre su un campo da tennis sono il motivo per cui sia ama questo gioco. Nella scorsa stagione tra estate e autunno aveva raccolto sei successi in quattro mesi, quindi, dopo la semifinale di Wimbledon gli si è spalancato un mondo. Una buona campagna sul cemento e qualche exploit sul veloce indoor potrebbero portarlo fino alle ATP Finals di Torino. Eppure, Musetti ha messo per un attimo da parte il sogno di una vita (entrare nei top ten) e ha deciso di giocarsi senza tirare indietro la gamba il torneo Olimpico. Dall’esordio contro Monfils poche ore dopo essere sceso dall’aereo che lo portava a Parigi (aveva giocato e perso di un soffio la finale nell’ATP 250 di Umago), alle vittorie su Fritz e Zverev, il campione di Tokyo 2020: Lorenzo ha dipinto un tennis che non esiste più, ma che Simone Tartarini (grazie a nome di tutti gli appassionati) gli ha trasmesso assecondando le qualità di un braccio come ce ne sono pochi in giro.

Ha fatto paura persino a Djokovic, abile a entrare nella sua testa già dalla sera prima, quando dopo il comodo successo su Tsitsipas aveva addirittura messo in dubbio di poter scendere in campo contro l’azzurro il giorno dopo. Da lì in poi, finale contro Alcaraz compresa, il redivivo Nole non ha sbagliato nulla. Per Musetti, i primi tre al mondo restano ancora un passo avanti. Occorre maggiore solidità mentale, un servizio che non s’inceppi e la capacità (rara) di alzare il livello nei momenti decisivi delle partite. Ma guardando la carta d’identità dei primi 50 giocatori al mondo e la sua crescita degli ultimi mesi, credere che Muso possa essere nel lotto di chi competerà per vincere gli Slam nei prossimi anni non è eccesso di ottimismo.

La battaglia per il bronzo contro il miglior Auger-Aliassime da due anni a questa parte è l’ennesima prova di quanto tennis di vertice ci sia in Lorenzo. Peccato non averlo potuto vedere in doppio con Jannik Sinner, ma questo è un altro discorso.

Fonte : Today