Alle origini erano fatte con il bambù o il frassino. Poi si passò al metallo, dall’alluminio all’acciaio, fino ai Giochi di Roma 1960. Infine la fibra di vetro o carbonio rinforzate e alternate in vario modo. In un futuro non troppo lontano potrebbe essere il momento di costruire gli strumenti per il salto con l’asta (le aste, appunto, lunghe fra 5,10 e 5,30 metri e pesanti da 1,3 a 3 kg) con innovativi materiali autoriparanti. In grado cioè di evitare le pericolose rotture cui a volte vanno incontro, causando danni importanti ai saltatori. Se infatti gli infortuni più frequenti sono quelli di caduta, quando cioè l’atleta colpisce il materasso nella fossa uscendo dall’infilata, se ne sono verificati anche a causa di questi enormi bastoni alla forma leggermente conica durante lo stacco, a causa della pressione e dell’energia cinetica necessaria a sollevare un corpo umano fra i 5 e i 6 metri.
A parte le origini ancestrali negli usi di grossi rami e l’impiego da parte degli antichi greci o altre tracce di un proto-salto con l’asta diffuso in Gallia, “l’idea di trasformare il salto in uno sport in cui le persone miravano a raggiungere la massima altezza è stata avviata da un club di cricket a Ulverston, in Inghilterra, nel 1843. Il salto con l’asta è arrivato per la prima volta alle Olimpiadi nel 1896 (vinse lo statunitense William Hoyt con un’altezza di 3,30 metri, cioè circa 3 metri in meno rispetto all’attuale record, ndr) ed è tornato alla ribalta ogni 4 anni da allora”, ha spiegato Wired Usa, ripercorrendone la storia e raccontando le novità del settore.
Il mix dei materiali delle aste è praticamente tutto: deve garantire flessibilità e robustezza, una performance importante (fra l’altro e curiosamente, non esiste una normativa sul tipo di materiali da poter o meno adoperare) e naturalmente evitare di rompersi. Ma anche leggerezza, perché le atlete e gli atleti le tengono per un’estremità mentre prendono la rincorsa, e resistenza, per supportare il loro stesso peso. Ogni asta sfoggia una durezza/resistenza specifica che viene misurata in libbre.
“Crepature e vuoti sono il nemico del composito”, ha spiegato Don Rahrig, vicepresidente per ingegneria e sviluppo prodotti nell’azienda specializzata Essx. Sono imperfezioni a volte invisibili ma che possono significare la fine dell’asta: “Quello che accadrà è che le crepe si propagheranno, un po’ come quelle in un parabrezza. E poi, quando l’asta si rompe, succede una catastrofe”. Nonostante il livello di sviluppo dei materiali compositi di cui sono fatte, le aste possono spezzarsi per diverse ragioni: per esempio se un atleta ne usa una inadeguata al peso o se un difetto di produzione o una crepa innescano appunto un cedimento strutturale. Se questo accade, e naturalmente accade esclusivamente in quel momento, durante la sollecitazione di un salto, le conseguenze possono essere pericolose. Bisogna solo incrociare le dita e poi buttare i pezzi superstiti, con cui non si può più fare nulla.
Alcune soluzioni degli ultimi anni hanno affrontato questo problema. Anzitutto un paper pubblicato dal Georgia Gwinnett College nel 2017 nel quale si suggerisce l’idea di aggiungere una sorta di segnalatore del problema. In che modo? Con uno strato di materiale trasparente in grado però di rilasciare microcapsule colorate quando la struttura dell’asta inizia a danneggiarsi, dando così massimo risalto alle crepe. Eppure non basta: quelle crepe andrebbero anzitutto riparate per poter anche riutilizzare le aste. Un’azienda svizzera, CompPair, sviluppa materiali compositi proprio con questo obiettivo: fare in modo che siano il più riparabili possibile. Il gruppo ha sviluppato una tecnologia, battezzata HealTech, che consiste appunto in superfici riparabili attraverso il riscaldamento delle fibre delle resine impiegate, così da far loro recuperare la forma di base originaria. Secondo l’azienda, ci vorrebbero ipoteticamente non più di 10 minuti. Ma la vera sfida è applicare una tecnologia di laboratorio ad attrezzi dell’atletica leggera utilizzati in continuazione e con grandi sollecitazioni. Andando a compromettere mix di materiali già sperimentati, col rischio di penalizzare le prestazioni per aggiungere un elemento auto-riparante. Senza contare la tipologia di crepe e ammaccature, la profondità dei difetti e il fatto che riscaldare le resine comprometterebbe appunto la stabilità degli altri materiali. Tutto, insomma, parecchio complicato.
Ci si lavora da qualche anno, su questo concept. Senza, per ora, grandi risultati oltre ai meccanismi sperimentati in laboratorio. Gruppi come Essx, pur guardando con molta speranza a sviluppi simili, non si sono naturalmente azzardati a modificare le composizioni delle proprie aste: “Stiamo studiando materiali come questo di continuo – ha spiegato Rahrig alla rivista americana – Al momento è puramente a livello di ricerca. È molto interessante ma non sono così sicuro di come verrebbe utilizzato in un’asta”.
Come giustamente nota l’edizione statunitense di Wired, la strada potrebbe essere però un’altra: il salto con l’asta, che proprio nella giornata del 5 agosto ha vissuto il momento di massima attenzione alle Olimpiadi di Parigi, non è uno sport ricco né estremamente praticato per quanto diffuso quasi ovunque anche a livelli basilari, ed è quindi probabile che questo tipo di materiali possano essere testati e implementati prima in altri ambienti e discipline. CompPair starebbe infatti lavorando con produttori di tavole da surf e di telai per biciclette.
Fonte : Repubblica