La scorsa settimana, in modo non tanto diverso dal solito ma un pochino più evidente, abbiamo assistito alla fiera delle discussioni sul niente. Lo schema è sempre lo stesso: accade qualcosa di totalmente irrilevante, o comunque secondario nel grande disegno delle cose, ascrivibile a fatti di costume che normalmente troverebbero spazio nelle pagine centrali di un giornale; per qualche ragione a me ignota questo fatto viene rilanciato a più non posso, ne leggiamo dappertutto, e diventa – tanto per cambiare – una questione divisiva: ci sono quelli a favore e quelli contro, quelli che parteggiano per X e quelli che parteggiano per Y.
Va da sé che tutti costoro sentono la necessità di dichiarare al mondo intero a quale squadra appartengono: è obbligatorio commentare, aumentando la portata del fenomeno, che diventa un circolo vizioso, dato che si sa che parlando di certe cose si otterranno like e visualizzazioni; quindi si continua a mungere la mucca.
L’inclusione a targhe alterne
Il caso delle Olimpiadi è particolarmente clamoroso, perché siamo stati monopolizzati per giorni dalla storia del banchetto apparentemente blasfemo, poi dalla storia del quarto posto, e pare che a nessuno sia importato niente della pulizia sociale messa in atto per rendere le città pronte a ospitare le Olimpiadi “più inclusive di sempre”. Ormai in effetti siamo abituati al fatto che quando si tratta di includere tiriamo in mezzo chiunque pur di continuare a ignorare i poveri, che del resto non piacciono a nessuno perché puzzano e ci rovinano le foto dei monumenti.
L’ipocrisia è evidente, ma probabilmente poco interessante per la maggior parte delle persone. Anche perché appare chiaro che il tono con cui queste “notizie” vengono commentate attira parecchio: è vincente questa continua patina di buonismo e petalosità, completamente finta, esclusivamente retorica, che infatti si applica solo ad alcune persone: se sei famosa rispettiamo il tuo essere grassa e anzi finiamo pure col dire che è un modello positivo da proporre, se sei morto di fame invece ci frega un cazzo che tu sia grasso (improbabile), trans o cavallo alato.
Al di là del caso specifico, deprecabile ma certamente non nuovo, è la tendenza generale, come sempre, il problema. Non solo parliamo quasi esclusivamente di idiozie, ma le dipingiamo anche come se fossero questioni capitali: difficile descrivere il senso di imbarazzo che si prova nel leggere certi articoli e post su questa storia del quarto posto, che dicono banalità sconcertanti tipo “ognuno ha le sue vittorie personali” presentandole come la scoperta dell’acqua calda. È avvilente pensare che ci sentiamo intelligenti spiegando l’ovvio a gente che già la pensa come noi e ha solo voglia di vedere confermata la sua visione.
Le discussioni non sono finalizzate a un arricchimento
Infatti, le discussioni che avvengono attorno a questi argomenti non sono mai costruttive, non arricchiscono chi vi prende parte (posto che se si parla del niente è difficile che se ne possa trarre qualcosa): servono solo a farci sfogare contro uno sconosciuto su una questione totalmente irrilevante, che però per qualche motivo momentaneamente ci infiamma, al punto che è impossibile per noi esimerci dal commentare. Anzi, esprimersi pare un dovere, tanto che chi non lo fa viene poi interrogato dagli utenti: come mai non hai fatto un video su questo? Aspettavo la tua opinione! Che in realtà significa: sono certo che la tua opinione corrisponda alla mia e vorrei che tu legittimassi il mio pensiero.
Sottrarsi a questo meccanismo è difficilissimo, anche perché è inevitabile incappare in queste “notizie”: pur non avendo io mai acceso la televisione, né cercato una singola volta informazioni sulle Olimpiadi (o sulla solfa della tizia che è stata chiamata candidato invece di candidata, palesemente un evento che merita le prime pagine di tutti i giornali), mi trovo mio malgrado a conoscere, seppur sommariamente, queste vicende.
Come invertire la rotta
Le notizie importanti, invece, quelle che riguardano concretamente la collettività, bisogna andarsele a cercare, cosa che ovviamente fanno in pochissimi; inoltre, comunque, non sono appetibili, non generano la stessa foga delle notizie inutili: di fatto noi abbiamo voglia di sentirci impegnati e di incazzarci, ma solo per finta. Solo per un attimo, il tempo di lasciare un commento, per poi dimenticarci totalmente della questione, fino al prossimo trend.
Probabilmente sembrerò bacchettona: un’altra tendenza diffusa infatti è quella di bollare come bigotta qualsiasi posizione vagamente critica, che osi suggerire che potremmo anche cercare di raffinarci intellettualmente, invece di soccombere all’idiozia (è successo per esempio a chi ha tentato di dire che certi reality show sono in antitesi col concetto di servizio pubblico). Tuttavia, il fenomeno ha ormai raggiunto dimensioni inaccettabili, e la connivenza (o meglio la colpa) di giornalisti e creatori di contenuti non deve più essere ignorata. Qualcuno deve iniziare a stimolare un cambiamento; e se aspettiamo che lo facciano gli organi di informazione, moriremo tutti di decrepitezza mentre inveiamo contro il gender o insultiamo la famiglia di un imputato.
Fonte : Today