Google e Amazon, i legami nascosti con l’esercito israeliano

Nei suoi commenti all’evento, Portnoy ha suggerito che Nimbus è destinato a rinsaldare il profondo legame di Amazon e Google con l’apparato di sicurezza nazionale israeliano. Ha affermato che le aziende sono state “partner per lo sviluppo” su un nuovo progetto che crea “un framework per la difesa nazionale”, con strumenti di sicurezza basati sul cloud. Portnoy ha paragonato il progetto al sistema di difesa missilistico israeliano, definendolo “l’Iron dome cyber“.

Le proteste dei dipendenti

Le recenti manifestazioni contro il progetto Nimbus non rappresentano la prima volta in cui un accordo sul cloud con applicazioni militari suscita proteste, specie all’interno di Google. Un ex dipendente del colosso, licenziato insieme a decine di altre persone dopo aver protestato contro il progetto lo scorso aprile, racconta di essere fiaccato da anni di tentativi per indirizzare l’azienda verso una direzione più etica: “Mi sono convinto che non ci si può fidare di nulla di ciò che dicono“, afferma. L’ex dipendente aveva già protestato contro Project Maven, un contratto tra Google e il Pentagono finalizzato all’analisi delle immagini di sorveglianza dei droni, contro la collaborazione tra l’azienda e l’autorità americana per la sicurezza delle frontiere nel 2019 e contro l’avvio del progetto Nimbus nel 2021, insieme al gruppo No tech for apartheid.

La prima importante azione di opposizione contro Nimbus risale all’ottobre del 2021, quando una coalizione di dipendenti di Google e Amazon ha pubblicato una lettera aperta sul Guardian per denunciare il progetto. No tech for apartheid è nata proprio in risposta al progetto Nimbus nello stesso periodo. Molte delle stesse persone che si sono unite a questi primi sforzi organizzativi hanno preso parte anche a No tech for Ice, un movimento guidato dai lavoratori del settore tecnologico creato nel 2019 per opporsi alle aziende che lavorano per l’Immigration and customs enforcement, la polizia di frontiera statunitense.

Ariel Koren, l’ex project manager di Google che ha contribuito alla stesura della lettera aperta, racconta che all’inizio del novembre 2021 il suo responsabile le ha detto che avrebbe dovuto accettare di trasferirsi a San Paolo, in Brasile, entro 17 giorni lavorativi “o avrebbe perso la sua posizione“, secondo quanto riportato dal Los Angeles Times. Koren ha annunciato le sue dimissioni nel marzo 2022 e poche settimane dopo un gruppo di lavoratori teche di attivisti ha organizzato una protesta davanti agli uffici di Google e Amazon a New York, Seattle e a Durham, in North Carolina, per esprimere solidarietà a Koren e alla sua proposta di chiudere il progetto.

Da allora le proteste si sono intensificate. Emaan Haseem, ex ingegnere di Google Cloud, è stata licenziata ad aprile insieme ad altre 48 persone dopo aver viaggiato da Seattle a San Francisco per partecipare a un sit-in di gruppo all’interno dell’ufficio dell’amministratore delegato di Google cloud Thomas Kurian. La donna afferma che No tech for apartheid fa parte di un movimento più ampio noto come Boycott divest sanction, che utilizza la pressione economica per spingere Israele a porre fine all’occupazione dei territori palestinesi.

Haseem spiega che l’opposizione agli interventi militari di Israele a Gaza e in Cisgiordania è un pilastro centrale di No tech for apartheid e definisce Nimbus “un contratto di collaborazione che salta subito agli occhi di chiunque segua il genocidio in corso a Gaza“.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

Fonte : Wired