Basta un litigio tra due donne a Varcaturo per un lettino conteso che subito scatta lo sfottò e la polemica. Ma oltre la maleducazione, la battaglia di queste due “vaiasse” rivela anche altro. Andare al mare sta diventando uno stress, tra prenotazioni, file, competizioni per un posto decente e conti salatissimi. A Vico Equense, in penisola sorrentina, il Cava Regia Beach club offre 1 lettino, con tavolo ed ombrellone “in condivisione”, alla modica cifra di 70 euro al giorno. Dall’altro lato della barricata ci sono le famiglie che portano al mare un figlio per volta, perché tre insieme non possono permetterselo. Alla faccia dei bonus meloniani alla natalità. Le spiagge stanno diventando uno dei tanti luoghi emblematici delle disuguaglianze in Italia. Tra chi può permettersele e chi no. Eppure sarebbero nostre.
I lidi esclusivi tipo Twiga non sono più un’eccezione e invadono gli arenili. Chi vorrebbe andare sulla spiaggia pubblica deve svegliarsi all’alba per sperare in uno spicchio residuo di sabbia. Non fate affidamento agli scogli, anche quelli sono ormai presidiati dai lettini a pagamento. Non si tratta però solo di prezzo, ma di capire come vogliamo starci al mare, quali sono i servizi di cui abbiamo bisogno e soprattutto chi dovrebbe garantirli. In tutta Italia proliferano i Beach club, oasi di drink e piatti instagrammabili. A Nord di Napoli, le spiagge di Varcaturo, Baia Domizia e Ischitella sono di nuovo ambite, ma le pretese di chi gestisce i lidi sono spesso assurde. Vietano di portare cibo da casa e impongono l’acquisto dalle loro cucine: una fresella al pomodoro a dieci euro, almeno 20 per un piatto di spaghetti coi lupini (anche se scrivono ‘vongole’ nel menù). I trend urbani hanno invaso anche la sabbia e soppiantato le godurie del mare: sdraiarsi sull’amaca in pineta, leggere un libro in santa pace e nuotare con la maschera.
Le proteste per il bagno libero
Non va molto meglio al Nord. Giovanni Rana ha aperto da poco uno stabilimento balneare sul lago di Garda nella Baia delle Sirene, lanciando un progetto enogastronomico “gourmet” e salottini dal design contemporaneo. Peccato che dove prima si poteva stare gratis portandosi dietro il proprio telo e un panino, adesso bisogna pagare 30 euro solo per l’ingresso. L’accesso al parco resta libero, ma non si potrà fare il bagno senza essere clienti dello stabilimento. Un bel regalo da parte del re della pasta ripiena ai residenti della zona, che giustamente protestano. Si sono fatti sentire a inizio luglio anche gli attivisti del coordinamento napoletano “Mare Libero Bene Comune”, stanchi di “chiedere la carità per farsi un bagno”.
La spiaggia libera sfrattata dal resort di Giovanni Rana: “30 euro per fare un bagno”
Denunciano l’occupazione abusiva da parte degli stabilimenti partenopei di porzioni di spiagge che dovrebbero restare libere e non lo sono. Come fa notare sui social Alessandro Coppola, professore di urbanistica al Politecnico di Milano, siamo arrivati ad un “pizzo platealmente illegale delle concessioni”, laddove ombrelloni e lettini vengono abitualmente installati anche nella aree di spiaggia libera, a prescindere dalle presenza di clienti. Una forma di “privatizzazione organizzata degli arenili”, che avviene ormai da anni nel tacito consenso dei comuni e della politica. E i cittadini, che sbraitano solo sui social, muti.
La battaglia contro la Bolkenstein
Adesso che le regole dell’Unione europea rischiano di mettere in crisi monopoli consolidati nel tempo, per concessioni ottenute a prezzi stracciati e ora scadute, i balneari italiani hanno deciso di chiudere gli ombrelloni e “scioperare”. Temono l’arrivo della spietata concorrenza straniera, ma basterà qualche imprenditore tricolore con liquidità a privarli di questa gallina dalle uova d’oro. “Abbiamo fatto investimenti”, sbraitano molti concessionari, ma nessuno ha imposto loro di inseguire un modello dispendioso su quello che rimane il demanio pubblico: dalle piscine in riva al mare all’area massaggi fino agli chef stellati in cucine piene di sabbia. Non in nome della concorrenza, ma della civiltà, andrebbero immaginate concessioni di natura diversa, non la gara a chi appizza più ombrelloni in riva al mare. L’alternativa esiste già.
“Gli stabilimenti balneari sono abusivi, tutti possono andare al mare senza pagare”
Lo dimostrano i tanti italiani che dopo il Covid hanno ripreso a fare vacanze altrove, elogiando i prezzi e i modelli alternativi dei balneari di Grecia, Spagna, Albania e Croazia. In altre parti d’Europa gran parte delle spiagge sono pubbliche e alcuni servizi sono offerti direttamente dai Comuni (come docce, bagni e armadietti), i parcheggi gratuiti. I balneari presenti puntano su un’offerta più economica e variegata. Perché in Italia ci stiamo accontentando invece di pochi metri di arenile gratuito per avere una doccia fredda e il “cocco ammunato e buono” del lettino e dell’ombrellone già fissato nella sabbia? Si tratta di un modello che danneggia anche le famiglie che investono con onestà sulle spiagge, rispettando le regole e offrendo servizi autenticamente utili.
Mare senza barriere
Uno degli esempi più virtuosi si può vedere ad Ascea, con le postazioni per disabili in spiaggia pubblica. C’è anche un operatore sanitario e un bagnino che offrono ogni tipo di assistenza. Questo sì che è un valore aggiunto, sul quale ha deciso di investire il Comune cilentano. La lungimiranza dell’amministrazione ha attirato in quelle zone le tante famiglie con persone disabili, che in Campania hanno pochissima possibilità di scelta per le loro vacanze. Alcuni balneari lo hanno capito e offerto servizi analoghi ispirandosi al modello pubblico.
A dimostrarci che dovremmo puntare di più sulla qualità del mare e meno al flûte al tramonto ci pensano le riserve. Penso alla Spiaggia dei conigli a Lampedusa, dove “manca” tutto: né lettini, né bar, né servizi, ma l’ambiente, scelto dalle tartarughe caretta caretta per deporre le uova, è preservato. Grazie a questa forma di protezione la spiaggia è segnalata da anni ai primi posti delle classifiche mondiali. Di fronte a quello spettacolo si può anche rinunciare a qualche comodità superflua.
Fonte : Today