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Le indagini da una rapina a due uomini: sarebbe stata organizzata per far sparire le prove degli abusi sessuali di cui erano vittime da parte di due frati.
Due giovani che sfondano la porta di un’abitazione di Afragola (Napoli), fanno irruzione a volto coperto e armati di mazza e coltello, afferrano un cellulare, cercano di prendersene un secondo e scappano. Rapina anomala, quella andata in scena lo scorso 26 aprile, e che ha portato a uno scenario inimmaginabile: quei due volevano esclusivamente i telefonini, e per un motivo preciso. Quale? Lì dentro c’erano chat, video e foto che provavano gli abusi sessuali che due frati avevano commesso su due collaboratori, costretti sotto ricatto. Gli arresti sono scattati questa mattina col blitz dei carabinieri.
Abusi e rapina per nascondere le prove, 6 arrestati
Indagine svolta dai carabinieri, coordinati dalla Procura di Napoli Nord (pm Cesare Sirignano, procuratore Maria Antonietta Troncone). In carcere, destinatari dell’ordinanza emessa dal gip di Napoli Caterina Anna Arpino, sono finiti padre Domenico Silvestro, parroco della Basilica Pontificia di Sant’Antonio da Padova di Afragola (Napoli) e padre Nicola Gildi, 55 anni, all’epoca dei fatti ad Afragola, che i carabinieri hanno raggiunto nel convento di Santa Maria Occorrevole di Piedimonte Matese, in provincia di Caserta; per entrambi l’accusa è di violenza sessuale, Gildi risponde anche di rapina aggravata in concorso. In manette sono finiti anche i due presunti esecutori materiali del raid: Danilo Bottino, 20 anni, con precedenti, e Biagio Cirillo, 19 anni compiuti oggi, incensurato. Gli altri due arrestati sono l’imprenditore 43enne Antonio Di Maso, accusato di avere fatto da tramite tra il frate mandante della rapina e l’organizzatore, identificato nel 52enne Giuseppe Castaldo, anche lui imprenditore di Afragola ma, secondo gli inquirenti, con contatti con la criminalità organizzata di Marigliano.
Gli incontri sessuali organizzati su Internet
I carabinieri, sulla base delle dichiarazioni delle vittime della rapina e analizzando il percorso dei criminali tramite gli impianti di videosorveglianza, sono riusciti a identificare i due giovani. Successivamente è venuto fuori il resto, raccontato dalle vittime dopo alcune reticenze. È emerso che i due avevano lavorato per i due frati indagati e che sarebbero stati costretti ad avere rapporti sessuali con loro dietro la minaccia del licenziamento o dell’interruzione dell’assistenza economica. Gli abusi sarebbero avvenuti anche all’interno di alcuni monasteri, tra cui la Basilica di Sant’Antonio di Afragola.
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Una delle vittime ha raccontato di avere conosciuto Gildi in chat, quando questi era nella chiesa di Sant’Antonio di Teano; avrebbe cominciato ad avere rapporti sessuali con lui in cambio di cibo, sigarette e altra assistenza. Inoltre, il prete gli avrebbe chiesto di presentargli altri ragazzi disposti a fare sesso con lui. Sarebbe stata la vittima a pagare per quegli incontri sessuali, costretta a partecipare alle orge sempre sotto la minaccia dell’interruzione degli aiuti.
Per organizzare gli incontri sarebbero stati usati il sito Internet “Ciao Amigos” e l’app “Tinder”. “Mediante minaccia – si legge in uno dei capi d’accusa – consistita nel prospettare il licenziamento e comunque il mancato sostegno ed assistenza economica fino ad allora assicurati, costringevano” le vittime “a subire atti sessuali, abusando delle condizioni di qualità di ministri del culto cattolico“. Nel 2019 Gildi era stato trasferito nella Basilica di Sant’Antonio e, secondo il racconto, avrebbe portato con sé le due vittime, coinvolgendo negli abusi anche padre Domenico Silvestro.
Gli abusi raccontati in una lettera
L’idea di far sparire le prove con una finta rapina sarebbe nata dopo l’invio di una lettera, nella quale i due collaboratori dei frati facevano riferimento agli abusi sessuali. Dalle intercettazioni sono poi emersi i messaggi, ora agli atti, che il frate identificato come mandante della rapina e l’organizzatore si sono scambiati il giorno dopo il loro incontro, il 7 aprile, in cui si celebrava la Divina Misericordia. “Carissimo Giuseppe – scrive Gildi – ti ringrazio per questo tuo impegno nei confronti dei frati, io sono mortificato, perché mai avrei voluto che si giungesse a questo. Ti chiedo perdono e ti assicuro la mia preghiera per te e per la tua famiglia. Un abbraccio e una benedizione“. L’imprenditore risponde poco dopo: “Nicola, io sono devoto a sant’Antonio e alla Chiesa, ma soprattutto mi avevano detto che sei una brava persona e di cuore…“
Fonte : Fanpage