Caso Carini-Khelif: perché si parla di ‘ideologia woke’ e cosa significa

“Pugile trans dell’Algeria – bandito dai mondiali di boxe – può partecipare alle Olimpiadi e affronterà la nostra Angela Carini. Un’atleta messicana che l’aveva affrontata ha dichiarato ‘i suoi colpi mi hanno fatto molto male, non credo di essermi mai sentita così nei miei 13 anni da pugile, nemmeno combattendo contro sparring partner uomini’. Uno schiaffo all’etica dello sport e alla credibilità delle Olimpiadi. Basta con le follie dell’ideologia ‘woke’!”. Questo ha scritto Matteo Salvini il 30 luglio commentando il match che si sarebbe svolto due giorni dopo alle Olimpiadi di Parigi alle 12:20 dell’1 agosto. Quel giorno è arrivato e oggi Carini è salita sul ring per affrontare Imane Khelif. Dopo pochi secondi ha però deciso di abbandonare facendo così vincere Khelif. 

L’incontro, come ben si intuisce leggendo quanto scritto dal vicepremier, era particolarmente atteso e quando le due atlete sono salite sul ring quello che è andato in scena si è trasformato in un “caso”, come lo ha definito anche Mentana. Perché gli occhi non erano puntati solo sul tabellone dei punti, ma anche sul cosa quell’incontro significasse.

Il tutto è nato da un cortocircuito che inevitabilmente ha suscitato scalpore: Khelif lo scorso anno è stata esclusa dai Mondiali, organizzati dall’International Boxing Association, per i livelli elevati di testosterone. Il Cio, ovvero il Comitato Olimpico, invece le ha permesso di gareggiare ai Giochi in quanto invece rispetta i requisiti. La questione è diventata politica, Salvini ha tirato in ballo “l’ideologia woke”, mentre Giorgia Meloni ha parlato di “gara non equa” perché “bisogna fare attenzione nel tentativo di non discriminare a discriminare. Alcune tesi portate all’estremo rischiano di impattare sui diritti delle donne”.

Ideologia woke, cosa c’entra con Carini e Khelif

Ma cosa c’entra l’ideologia woke con il caso Carini-Khelif? Oggi in ideologia woke rientrano tutte quelle prese di posizione che vengono collegate alla ‘dittatura del politicamente corretto’ ad esempio l’utilizzo dello schwa (ə) così da non dover utilizzare il genere maschile sovraesteso e in questo caso l’ammettere a tutti i costi in una competizione femminile un’atleta con elevati livelli di testosterone (che però lo sottolineiamo non è trans ma sarebbe affetta, anche se lei ufficialmente non ne ha mai parlato, da iperandrogenismo). Ma in origine ‘essere woke’, la ‘wokeness’, aveva tutto un’altra accezione.

Se adesso ha un’accezione negativa – e quindi usata prevalentemente per denigrare e ironizzare su chi esprime “il proprio orientamento politico progressista o anticonformista, ha un atteggiamento rigido o sprezzante verso chi non condivide le sue idee”, chiarisce la Treccani – fino a qualche anno fa invece era sinonimo, tradotto in italiano nel suo significato, di “consapevole” ovvero conscio dell’ingiustizia che le minoranze sono costrette a vivere e dunque “risvegliato” dall’intorpidimento sociale. ‘Woke’, che viene usato in senso metaforico, è la forma del simple past (passato remoto) del verbo ‘to wake’ ovvero ‘svegliare’.

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L’origine della parola woke

La parola si è fatta largo prima negli Stati Uniti, ma poi è stata ampiamente sdoganata sia in Gran Bretagna che in Francia. “Nell’inglese americano, specialmente nella varietà afroamericana, woke si usava nel significato letterale di awake sin dalla fine del XIX secolo; l’accezione di cui parliamo invece risale ai primi anni 1960”, riporta lo Zanichelli. Ma solo grazie alla cantante statunitense Erykah Badu che inserisce la parola in una sua canzone, Master Teacher, ‘woke’ diventa sempre più diffusa fino ad arrivare ai movimenti Black Lives Matter e MeToo che lo utilizzano proprio come slogan.

Nel 2016 è stato pubblicato un documentario, “Stay Woke: The Black Lives Matter Movement”, in cui viene spiegato come il movimento è nato e nel quale si evince che “stay woke” è sinonimo di attivismo, lotta contro il razzismo, partecipazione alle proteste per chiedere diritti. Aveva dunque un’accezione positiva. 

Con il passare degli anni però le persone che prima si identificavano con il termine hanno smesso di ‘rivendicarlo’ e si è trasformato in una sorta di ‘arma’ lessicale sfruttata invece da chi considera tutte quelle lotte delle esagerazioni perché troppo giudicanti. Per estensione si è arrivati a destra contro sinistra, conservatori contro democratici e progressisti.

Hanno influito su questo passaggio alcune storture che hanno portato a dei veri e propri processi sui social. Un esempio è il caso di Woody Allen negli States, nel 2018. Negli anni ’90 fu accusato dall’ex moglie, Mia Farrow, di aver violentato la figlia adottiva Dylan, ma nonostante non ci fossero prove oggettive, le numerose battaglie social contro il regista portarono Amazon a cancellare un accordo per la distribuzione dei suoi film e la casa editrice Hachette a non fare uscire la sua autobiografia negli Usa. E questo rientra nella ‘cultura della cancellazione’, la ‘cancel culture’, che per molti è legata alla woke culture e al politicamente corretto. 
 

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Fonte : Today