Altro che spirito olimpico, in questi giorni sul caso di Imane Khelif si sono lette le più assurde nefandezze anti-sportive. Soprattutto alcuni giornali italiani sono ricorsi a un indecoroso misgendering (cioè l’attribuzione a una persona di un genere in cui non si riconosce) parlando di “un uomo algerino” che starebbe per prendere a pugni una donna italiana, riferendosi al suo imminente match contro la napoletana Angela Carini, in programma alle Olimpiadi 2024 nella giornata del 1° agosto. Basta poco per rendersi conto che quella di certi giornali è una va ol la volontà di aderire realtà della competizione o a una qualsivoglia giustizia sportiva.
Andando con ordine: nata nel 1999 a Tiaret in Algeria, Imane Khelif pratica la boxe da quando è bambina e ha sempre gareggiato nelle categorie femminili. Nella sua carriera ha partecipato ai Campionati mondiali di pugilato femminile a New Delhi nel 2018 (arrivando al 17° posto), poi ha gareggiato in Russia l’anno successivo, ha partecipato a Tokyo 2020 giungendo fino ai quarti di finale e nei Mondiali femminili del 2022 a Istanbul è arrivata seconda. Tutto sembra filare liscio fino ai Mondiali 2023 organizzati dall’Iba (International Boxing Associaton, associazione non riconosciuta dal Comitato Olimpico Internazionale che organizza le Olimpiadi) nei quali è stata squalificata dopo un test di idoneità di genere, che avrebbe riscontrato in lei il cromosoma XY. Il presidente dell’Iba, Umar Kremlev, riferendosi a lei e alla taiwanese Yu-Ting, in una situazione simile, aveva dichiarato che “stavano cercando di ingannare le loro colleghe e di fingere di essere donne“, mentre Khelif si era difesa parlando di un complotto politico per non farla vincere.
La polemica alle Olimpiadi
Eppure arriviamo a Parigi 2024 e al fatto incontrovertibile che Khelif così come anche Yu-Ting sono state ammesse alle competizioni di pugilato olimpico. Le regole di ammissione sono in questo caso gestite dalla cosiddetta Boxing Unit, la quale ha assicurato che tutti gli atleti e le atlete che partecipano al torneo di pugilato dei Giochi “rispettano le norme di ammissibilità e di iscrizione alla competizione nonché tutte le norme mediche“, che comprende anche l’opportuna dimostrazione di certificati medici timbrati e verificati almeno a tre mesi prima dell’inizio delle gare. “Queste pugili sono del tutto idonee, sono donne sui loro passaporti, sono donne che hanno gareggiato alle Olimpiadi di Tokyo e gareggiano da molti anni, penso che abbiamo tutti la responsabilità di abbassare i toni e non trasformarla in una caccia alle streghe”, ha dichiarato Mark Adams, portavoce del Cio.
Il fatto, in effetti, si riconduce proprio a questo: Khelif partecipa ai Giochi perché ammessa da precise regole e dopo determinati controlli. La stessa Carini ha dichiarato: “Devo adeguarmi a quello che ha deciso il Cio, quindi domani andrò sul ring e darò tutta me stessa”. Le polemiche chiassose di questi giorni hanno offuscato poi temi molto seri, come quello dell’iperandroginismo (cioè la produzione eccessiva di testosterone da parte di corpi femminili) e sull’intersessualità (che riguarda chi nasce mostrando caratteristiche sessuali primarie e secondarie – quindi genitali, cromosomi, ormoni e/o altro non riconducibili univocamente al genere maschile o femminile), sviliti a questioni da discutere al bar. Hanno poi avvelenato ulteriormente un dibattito già molto delicato come quello della partecipazione delle donne transgender alle Olimpiadi e alle competizioni sportive in generale. Al di là di tutto, però, sta di fatto che Imane Khelif si è sempre definita donna e il Cio la fa partecipare alle Olimpiadi in quanto tale: anche di fronte all’assatanato tribunale popolare dello sport, non c’è nulla da aggiungere.
Fonte : Wired