La chirurgia inquina, ma c’è chi cerca idee per renderla più sostenibile

È diventata virale un paio d’anni fa nella comunità di chirurghi, anestesisti, strumentisti, e poi, forte di questo imprimatur, anche in quella dei pazienti. La performance di Maria Koijck, artista olandese, che ha disposto sul parquet scuro di un’ampia palestra tutti i materiali che sono stati utilizzati nel corso del suo intervento per curare dal cancro al seno. Garze, cucitrici, camici, ferri di varia natura: tutti in buona parte, monouso. L’arte arriva dritta al punto, e l’esibizione ha dato da pensare. Proprio perché il problema dell’impronta carbonica degli interventi chirurgici non è banale: secondo alcune stime, il settore sanitario sarebbe responsabile del 5% delle emissioni globali di CO2.

L’idea di denunciare gli sprechi

Ho iniziato a sentirmi poco bene, quindi ho deciso di fare lo screening ed è risultato positivo”. Maria Koijck inizia così il suo racconto a Wired. “Cancro al seno hanno detto i medici. Quando sono entrata in ospedale per essere operata, mi ha molto colpito la grande quantità di dispositivi monouso che vengono utilizzati negli interventi. I dottori hanno tagliato il camice e lo hanno buttato via, poi li ho visti gettare le forbici e molti altri ferri. Ho chiesto perché, e mi hanno risposto che si tratta di una questione igienica. A quel punto mi sono chiesta, ma è davvero così necessario? Le forbici per eseguire il mio intervento arrivavano direttamente dal Giappone, e dopo aver attraversato il mondo per arrivare fino in Olanda sono state aperte, utilizzate una solo volta e poi gettate dopo un solo taglio. È possibile che non si possa fare diversamente?”

“Quindi ho deciso di parlare con il direttore dell’ospedale, chiedendogli se fosse stato possibile avere il materiale utilizzato nel corso dell’ intervento. Era molto importante non dare l’impressione di voler attaccare la struttura, anche perché l’equipe che mi ha operato è stata fantastica e poi mi ha salvato la vita. La mia voleva essere solo una riflessione di ordine generale e loro lo hanno compreso”, aggiunge l’artista.

Al suo risveglio gli operatori le hanno fatto trovare sei grandi sacchi pieni di rifiuti di ogni tipo, che le hanno consentito di mettersi subito al lavoro sul progetto espositivo. Koijck racconta che, a distanza di tre anni, sono ancora tanti i medici che la contattano per complimentarsi per l’idea. Oltre mille giorni e diversi premi dopo, continua a girare il mondo per raccontare la propria storia. L’ultima tappa, a giugno, è stata in Cina, ospite dell’ambasciata olandese.

Non tutto è riciclabile

Se l’arte ha il potere di arrivare dritta al sodo, la realtà è chiaramente più complessa. “Posso confermare che nelle sale operatorie si impiega molto materiale usa e getta”, commenta al telefono Isacco Montroni, responsabile della struttura semplice di chirurgia colorettale dell’ospedale di Ravenna. Lo specialista invita, però, a fare una riflessione. “È necessario valutare caso per caso, con l’aiuto di analisi puntuali, cosa può essere realmente fatto per migliorare la sostenibilità in sala operatoria”.

Fonte : Wired