Futurama, intervista allo showrunner David X. Cohen

Forse uno degli elementi che ha sempre conquistato il pubblico di Futurama è sempre stata la sua natura dissacratoria. Eppure, soprattutto in queste stagioni revival, si nota più preponderante anche una certa vena malinconica: nei primi episodi di questa nuova stagione Bender scopre qualcosa sulla prima madre, Fry ricorda un compleanno che gli ha segnato amaramente l’infanzia… È voluta questa maggior attenzione ai sentimenti? “Credo proprio che gli episodi più tristi siano anche i miei preferiti. Ci siamo arrivati col tempo, ma quando ti riescono bene gli spettatori si ingaggiano molto con questi personaggi, anche se sono folli e di un’epoca lontana”, confessa Cohen: “Quando questo riesce mi sento molto orgoglioso, perché vuol dire che le persone ci tengono davvero”. Questo perché la scrittura di ogni episodio tiene in sé tanti elementi: “Quando scriviamo un episodio lo facciamo lavorando su tre assi: quella della comicità più o meno marcata, quella dell’azione sci-fi e quella sostanzialmente del felice-triste. Quindi se è un episodio triste non è detto che non possa essere divertente e avere anche delle belle scende d’azione. È la combinazione di tutte queste cose che funziona, e ci dà molte più opzioni su cui lavorare“.

C’è da dire che più passa il tempo, più il mondo immaginato da Futurama – dominato com’è da corporation senza scrupoli, politici folli, intelligenze artificiali incontrollabili – ci sembra sempre meno astruso e improbabile: “A me sembra che il rapporto che abbiamo con la realtà sia lo stesso che abbiamo con i grandi eventi della scienza: se da qualche parte avviene un big bang o una collisione tra stelle, tu come individuo puoi farci poco e la tua vita continua”, riflette Cohen: “Ma quello che vogliamo davvero fare nella serie è parlare di ciò che interessa veramente alle persone, le cose a cui tengono. Ci interessa creare personaggi a cui le persone si affezionino, nonostante il caos che c’è intorno”. Sta a vedere che alla fine Futurama non è mai stata una serie sulla tecnologia, bensì sull’empatia.

Fonte : Wired