Da Vianello a Fedez, la storia dei tormentoni estivi: “Ci stiamo avvicinando alla dissoluzione culturale”

Estate significa – tra le innumerevoli altre cose – anche musica. Spesso di genere pop, nel senso autentico di popolare. Come quelle melodie che si ascoltano alla radio o in televisione e che poi si canticchiano in spiaggia (o dove volete). Tutti le conoscono. Ognuno di noi ha il proprio “tormentone” estivo o lo ha avuto in passato. Che sia “Abbronzatissima” o “Sesso e Samba”, non importa. Ma come nascono? C’è una “ricetta magica” per crearli? Ne abbiamo parlato con il Professor Massimiliano Raffa, sociologo dei processi culturali e comunicativi, nonchè autore di “Poptimism. Media algoritmici e crisi della popular music”. 

Iniziamo dall’ABC: cos’è un tormentone?

“È un’idea prettamente italiana, nata in seno al contesto della musica italiana e che risale al dopoguerra, anni 60. Ci sono stati i brani legati alla cosiddetta scuola romana – Vianello primo fra tutti – che avevano la tematica estiva e del mare. Loro forse sono stati i primi. Negli ultimi anni c’è stato un recupero anche di brani degli anni 90”.

La ‘hit’, quindi, è un’altra cosa..

“Esatto. La ‘hit’ è una qualsiasi canzone di successo che si protrae nel tempo, mentre il tormentone è un brano che si riferisce solo all’estate e che si basa molto sulla ripetitività. Da qui l’idea di “tormento””.

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A chi piacciono i tormentoni?

“Al pubblico con livelli di capitale culturale inferiore e ai giovani. Logicamente poi c’è il gusto soggettivo, oggi si sono abbattute molte barriere perché oggi la cultura contemporanea ha totalmente segnato una vittoria predatoria della cultura commerciale sulle culture contro-narrative”.

Da quando esiste il tormentone?

“Per come lo intendiamo oggi possiamo dire dagli anni 80: il gioca jouer è di quegli anni. Poi, negli anni 90, è arrivata l’ondata di pop latino. Ma anche i balli di gruppo che, con la componente della danza, consentono la replicabilità”.

Lo stesso concetto dei balletti su TikTok, quindi?

“Sicuramente i social media hanno facilitato l’apprendimento e il coinvolgimento dei soggetti, ora attraverso gli smartphone”.

Quali altri mezzi hanno giocato un ruolo fondamentale per i tormentoni?

“Nella storia del tormentone contemporaneo hanno svolto un ruolo fondamentale la televisione e il videoclip. Quest’ultimo è stato un medium fondamentale, perché nasce come mezzo di diffusione. Poi il videoclip ha cambiato il senso e in un certo senso si è creata una confusione”.

In che senso?

“Prima di internet, i videoclip viaggiavano su un binario parallelo a quello dei media fisici, cioè dei dischi. Oggi quel modello non esiste più: i canali promozionali e quelli distributivi non sono più separati, quindi si identificano in tutti i social media e nelle piattaforme di streaming. Tutti hanno accesso ma poi poco controllo”.

A chi è demandato il controllo?

“Ci sono algoritmi ed entità fuori dal controllo degli utenti. Oggi il mercato della musica non è controllato dalla discografica e quindi da un’industria culturale ma gli artisti spesso producono dei contenuti che fatico anche a definire musicali”.

Non accadeva anche in passato?

“Sì ma esistevano delle alternative. Il funzionamento di alcune piattaforme è opaco e con finalità economiche e non culturali, penso appunto a TikTok”.

I tormentoni sono cambiati o c’è una “ricetta magica” immutata nel tempo?

“Sono cambiati, com’è cambiata la musica in generale. Hanno subito un lento processo di degenerazione andando incontro a una deriva di dissoluzione culturale. ‘Abbronzatissima (di Edoardo Vianello, ndr) ad esempio aveva una sua dignità, con arrangiamenti molto originali per l’epoca, come quelli del maestro Ennio Morricone”.

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Ma perché spesso i tormentoni sono dei featuring (più di un cantante insieme, ndr)?

“Perché dietro c’è una necessità di massimizzazione di visibilità, magari tra fasce di pubblico diverse tra loro. Questo ha a che fare non solo con gli interpreti ma molto anche con gli autori. C’è uno studio che ha mostrato che il numero di produttori è aumentato negli ultimi 20 anni del 99%. La musica, nella sua connotazione, assomiglia sempre più a un brevetto industriale non solo per il piano autoriale ma anche per gli interpreti”.

È un passo inevitabile?

“Posso dire che lo comprendo perché la musica pop nasce per essere venduta e andare in radio e non c’è niente di male perché è nella sua natura. Tuttavia, la logica culturale è sparita. Il livello di standardizzazione nella composizione musicale ha raggiunto livelli incredibili. Anche per questo ascoltiamo sempre più canzoni che ‘si somigliano’, sebbene la tecnologia potrebbe aiutarci ad andare in una direzione opposta”.

Non c’è un tormentone moderno che salverebbe?

“Non ascolto musica pop. Non accendo radio né televisione, la vita è già abbastanza dura..”.

Una curiosità personale, che musica ascolta allora?

“Quella bella. A me la musica brutta non piace”.

Fonte : Today