“Minerali di sangue”: così il patto per le materie prime sta creando una crisi umanitaria

Per impedire alla Cina di detenere il primato globale sull’estrazione e la lavorazione delle materie prime critiche, centrali per la transizione green, l’Ue ha stretto accordi con diverse nazioni mondiali, tra cui il Ruanda in Africa, per accaparrarsi i preziosi minerali del sottosuolo necessari alle nuove tecnologie. Ma si tratta di materiali che potrebbero essere macchiati del sangue di civili innocenti. 

Patto con il diavolo? 

Il patto strategico per la fornitura di minerali cruciali come il coltan, siglato lo scorso 19 febbraio tra la Commissione europea e il Ruanda nel quadro della Global gateway (la risposta di Bruxelles alla Nuova via della seta di Pechino), sta destando preoccupazioni sempre maggiori. Il sospetto è che, per mantenere il flusso di materiali preziosi da vendere ai Ventisette, Kigali li contrabbandi illegalmente attraverso il confine con la Repubblica democratica del Congo (RdC). 

Quest’ultimo Paese è lacerato da una violenta guerra civile tra le forze governative e vari gruppi di miliziani ribelli, che nell’arco di oltre un decennio ha provocato non meno di sei milioni di morti e sette milioni di sfollati. Tra i gruppi paramilitari degli insorti spicca soprattutto quello conosciuto come M23 (acronimo di Movimento 23 marzo), il quale da anni controlla la parte orientale dell’RdC, al confine proprio con il Ruanda. 

Il timore è che i ribelli vendano questi “minerali insanguinati” sottobanco alle autorità di Kigali, le quali poi li riciclano mandandoli in Europa. Insomma, le componenti delle auto elettriche e dei chip del Vecchio continente potrebbero contribuire ad aggravare una delle peggiori crisi umanitarie degli ultimi decenni. Il tutto mentre Bruxelles si è impegnata ad aumentare gli aiuti a Kinshasa mentre ha comminato proprio ieri (26 luglio) nuove sanzioni contro la leadership del gruppo M23. 

Gli affari (sporchi) di Kigali

Il governo ruandese è da tempo accusato (anche dalle Nazioni unite) di foraggiare le forze ribelli, in un intreccio socio-politico che affonda le sue radici nella terribile pagina del genocidio dei tutsi avvenuto nel 1994 (l’M23 è composto da combattenti tutsi). Il presidente-padrone del Paese, Paul Kagame, al potere dal 2000 e considerato l’uomo che ha messo fine a quella stagione di violenza cieca, ha ripetutamente negato ogni coinvolgimento diretto con le attività del gruppo. Ma ha anche ammesso che la nazione potrebbe essere diventata una via di transito per i minerali estratti artigianalmente e semi-industrialmente dal vicino in guerra. 

Del resto, in pochi nella regione credono alla coincidenza per cui, poco dopo la stipula degli accordi tra Bruxelles e Kigali, i combattenti dell’M23 sono riusciti ad estendere il loro controllo su una più ampia porzione del Congo orientale, una zona il cui sottosuolo è ricco di minerali preziosi. Da parte sua Félix Tshisekedi, capo di Stato dell’RdC, ha denunciato il patto commerciale definendolo “una provocazione di pessimo gusto” e ha dichiarato che “è come se l’Ue stesse facendo la guerra contro di noi per procura”, chiedendo un embargo internazionale sulle esportazioni minerarie ruandesi. Ma secondo i funzionari dell’esecutivo comunitario l’accordo mira, al contrario, a incentivare un miglioramento della situazione sul campo in Ruanda e nella regione, aumentando l’attenzione al rispetto e alla tutela dei diritti umani nonché a “sostenere l’approvvigionamento, la produzione e la lavorazione sostenibile e responsabile delle materie prime”. 

La miniera del mondo

Come riportato dal quotidiano Politico, il Ruanda è una delle principali destinazioni del coltan e degli altri minerali contrabbandati attraverso il confine orientale del Congo. Secondo i dati ufficiali Onu, Kigali esporta più minerali di quanti ne estragga, dunque è evidente che la differenza entri nel Paese in qualche altro modo. Per Erik Kennes, ricercatore dell’Egmont institute, “la parte più consistente” delle esportazioni minerarie ruandesi “proviene dal Congo”, e l’accordo con i Ventisette di fatto “giustifica” e “formalizza” questo commercio illecito e insanguinato.

La regione dei Grandi laghi, un’ampia zona dell’Africa centro-orientale che comprende l’RdC, l’Uganda, il Kenya, il Ruanda, il Burundi, lo Zambia, il Malawi e il Mozambico, è di enorme interesse strategico per tutte le potenze globali (Cina e Russia in testa), che sono a caccia dei minerali e dei metalli indispensabili per produrre turbine eoliche, pannelli solari, batterie per auto e tutte le componenti dell’elettronica di consumo. 

La metà del tantalio usato nel mondo, estratto dal coltan, proviene da qui, e nel Paese si producono grandi quantità di stagno, tungsteno, oro e niobio. La Commissione europea stima che nel 2024 il valore complessivo delle esportazioni minerarie ruandesi raggiungerà gli 1,5 miliardi di dollari: nel 2017, questo valore si aggirava intorno ai 373 milioni.

Fonte : Today