Tornano in servizio i sei agenti accusati di violenze e pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere

Tornano in servizio i sei agenti di polizia penitenziaria imputati nel processo per le violenze contro i detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, avvenute nel 2020. Si tratta dei due dirigenti Gaetano Manganelli e Anna Rita Costanzo, rispettivamente capo e vice della Polizia Penitenziaria dell’istituto penale, di due ispettori e di due assistenti capo.

La sospensione dal servizio era scattata nel giugno del 2021, ed era stata poi revocata lo scorso agosto per 22 agenti dopo le molteplici richieste del sindacato di polizia penitenziaria Uspp, che oggi si dice soddisfatto del reintegro per i sei imputati. Il provvedimento , secondo Giuseppe Moretti e Ciro Auricchio, rispettivamente presidente nazionale e segretario campano del sindacato è stato “eccessivamente penalizzante visto che sono passati 4 anni e mezzo dai fatti contestati e che lo stipendio, con la sospensione che dura dal giugno del 2021, si è ridotto con disagi economici per le famiglie”.
“Finalmente, proprio dopo il nostro ennesimo sollecito a revocare la misura della sospensione, grazie alla determinazione del Sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro, è arrivata la riammissione in servizio di altri 6 colleghi.” “Siamo convinti che la nostra azione non possa considerarsi ininfluente rispetto a questo risultato, certi, tra l’altro, della necessità che nel carcere di Santa Maria Capua Vetere occorre ancora decongestionare il sovraffollamento che ha limiti insopportabili inoltre dalla pianta organica mancano ancora 70 agenti ma nonostante ciò il personale di polizia penitenziaria riesce comunque a mantenere l’ordine e la sicurezza interna,  aggiungono i due sindacalisti.

Le violenze

Il processo riguarda una serie di violenze, tra cui pestaggi, manganellate e umiliazioni compiuti all’interno del carcere contro i detenuti, in quella che il giudice per le indagini preliminari Sergio Enea aveva definito “un’orribile mattanza”.

Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, si sarebbe trattato di una rappresaglia per le proteste dei detenuti che, allarmati per un caso Covid, avevano chiesto di avere mascherine e igienizzanti per le mani per ridurre il rischio di diffusione del contagio. Le immagini dalle telecamere di sorveglianza hanno catturato l’aggressione con calci e pugni, contro i detenuti picchiati col manganello. Tra gli episodi emblematici quello del 28enne Hamine Lakimi, messo in isolamento dopo i pestaggi e morto il 4 maggio 2020. L’allora ministra della Giustizia, Marta Cartabia, aveva parlato di “un tradimento della Costituzione, un’offesa e un oltraggio alla dignità della persona dei detenuti”.

Fonte : Today