“Il cervello è ancora oggi l’oggetto più sofisticato dell’universo conosciuto. E con un margine impressionante. Persone nell’epoca dei dispositivi mobili, delle astronavi, degli acceleratori di particelle […] La storia si fa ancora più sconvolgente se si sbircia tra le sue pieghe. Malgrado la relativa semplicità dei neuroni che costituiscono gran parte della sua struttura, il cervello è forse la migliore dimostrazione immaginabile della regola per cui, a una scala sufficientemente grande, la quantità possiede una qualità tutta sua”.
Perché capire le immagini ci rende umani
È la qualità che ha permesso a Fei-Fei Li di immaginare mondi. Fisici e intellettuali. ‘Tutti i mondi mondi che vedo’ (Luiss, 295 pagine) è un racconto. Di mondi visitati e vissuti. A partire dal primo viaggio, quello di una bambina che oggi è nota nel mondo come la ‘madrina dell’intelligenza artificiale’ che dalla Cina l’ha portata con suo padre negli Stati Uniti.
Il libro di Li è la storia della sua vita. Il percorso che l’ha avvicinata alla scienza. Ma è anche un libro sulla storia dell’Ai, che ha vissuto in prima persona fino a diventare la migliore nel suo campo: addestrare le macchine a riconoscere e interpretare le immagini. Indagare la magia che consente agli umani prima, e alle macchine oggi, di riconoscere immediatamente un’immagine. La capacità istintiva, tipicamente umana, di comprendere il contesto.
Capire come vediamo è capire noi stessi. E le macchine. Il lancio di World Labs
Per Li capire come vediamo in qualche modo significa capire noi stessi. Ne è convinta. Al punto di fare della sua ‘ossessione’ per la ricerca, per vedere mondi possibili, un ambito di ricerca prima e una startup poi. Qualche mese fa ha dato vita a World Labs (ancora mondi, come quelli immaginati nel suo libro). Obiettivo: utilizzare l’elaborazione dei dati visivi simile a quella fatta dal cervello umano per rendere l’Intelligenza artificiale capace di ragionamenti avanzati. Intuizioni avanzate, come quelle che naturalmente caratterizzano la comprensione umana. Un po’ come ChatGpt ha fatto con l’elaborazione dei testi, World Labs vuole creare un modello linguistico di grandi dimensioni per le immagini. L’azienda vale già un miliardo di dollari, ha riportato la scorsa settimana il Financial Times. Intreccio di ricerca scientifica e business classico negli Usa, che porta la ricercatrice già tra i nomi più influenti del settore.
Li è nota soprattutto per i suoi contributi alla computer vision, una branca dell’IA dedicata ad aiutare le macchine a interpretare e comprendere le informazioni visive. Ha inoltre guidato lo sviluppo di ImageNet, un database visivo utilizzato per la ricerca sul riconoscimento degli oggetti via immagini. Li ha diretto l’AI di Google Cloud dal 2017 al 2018 e attualmente è consulente della task force della Casa Bianca sull’AI. È una delle persone più influenti nell’Intelligenza artificiale. La madrina dell’Ai, si è detto.
La necessità di tenere l’uomo al centro, altrimenti non c’è Ai
Le sue ricerche, la sua passione per l’Ai, vengono raccontate nel suo Tutti i mondi che vedo attraverso due direttrici. La prima è una storia raccontata, di facile accesso, dell’apprendimento automatico delle macchine, descrivendone la crescita e la trasformazione anche nei suoi periodi più bui. Quando alla rivoluzione dell’Ai cominciava a non credere più nessuno. “Se c’è un lieto fine nei periodi così oscuri, in cui il mondo sembra impermeabile alla ricerca scientifica, è che i pensatori più curiosi sono al massimo dell’inventiva”, scrive.
“Fanno comparire ipotesi dal nulla. Persino i piccoli progressi possono dar luogo a trasformazioni. E l’effetto valanga che segue può essere vertiginoso”. Sembra di leggere quello che sta succedendo da due anni a questa parte dopo il boom delle intelligenze artificiali generative. La seconda è un sottotetto costante, che appare in ogni pagina. L’appello che l’uomo resti al centro, che l’Ai non diventi la sua sostituzione, unico modo per coglierne appieno i frutti, i benefici del nuovo potere assunto dalla tecnologia. “Il futuro dell’Ai è estremamente incerto e abbiamo tanti motivi di ottimismo quanto di preoccupazione. Ma è tutto il prodotto di qualcosa di più profondo e di gran lunga più significativo della mera tecnologia: l’interrogativo di cosa ci motiva, nel cuore e nella mente, quando creiamo. Credo che la risposta a questo interrogativo – forse più di qualsiasi altra cosa – determinerà il nostro futuro”. Ma tutto dipende da chi risponderà. E la risposta migliore, avverte Li, è quella che può arrivare da un campo “diversificato, inclusivo e aperto a competenze di altre discipline”. Una risposta al momento non scritta. Tutta da elaborare. Le cui ragioni profonde sono radicate in millenni di cultura umana. E nei millenni di mondi possibili ancora da immaginare.
Fonte : Repubblica