Lo stress da covid, la palpata sotto i 10 secondi e il femminicidio di Stato

Ogni tanto, in Italia, una sentenza fa scalpore. E se fa scalpore, potete star certi che ha qualcosa a che fare con la violenza sulle donne; e potete star certi che di quella sentenza si dirà che è iniqua. Stiamo assistendo anche in questi giorni allo stesso baraccone, stavolta a causa della sentenza della Cassazione che invita a considerare come attenuante per il ragazzo che strangolò la fidanzata il grave stress vissuto nel primo periodo Covid, cosa che annullerebbe quindi l’ergastolo. Questa la sentenza. La situazione che ne deriva? Politici e giornalisti che esprimono indignazione, dichiarazioni scandalizzate, attacchi delle femministe, come se la Cassazione avesse detto che l’imputato va assolto. E infatti questo è quello che la gente, che manco sa la differenza tra un giudice e la Corte di Cassazione, pensa della questione: in Italia i femminicidi non vengono puniti.

L’opinione opposta: “Sui femminicidi facciamo un passo avanti e due indietro”

Le sentenze vanno lette

Anzi, se uccidi una donna ti mandiamo in vacanza premio. La stessa identica solfa di quando saltò fuori la sentenza dei famosi 10 secondi: i giornali hanno titolato “se tocchi una donna per meno di 10 secondi non è reato”, i politici (che in questo, a destra e a sinistra, sono in assoluta armonia) hanno starnazzato, il patriarcato ancora una volta non è stato sconfitto. Peccato che non fosse vero che l’imputato era stato assolto perché aveva toccato la ragazza per meno di 10 secondi: le ragioni in realtà erano altre, ma perché mai un giornale dovrebbe riportare la verità invece di far infiammare gli animi dei lettori con il sacro fuoco dell’indignazione? Chiaramente, è colpa del patriarcato Così la gente è indotta a credere che la violenza sulle donne sia sistemica e che esista la cultura dello stupro e del femminicidio, come se questi non fossero reati punibili e puniti; vaglielo a spiegare che se un cittadino è trovato colpevole di un reato è prevista per lui una pena, e che magari se ci sembra troppo bassa è perché non abbiamo aperto mezzo libro di diritto manco alle medie, e non abbiamo la più vaga idea di come funzioni l’emissione di una sentenza. Del resto è per questo che i cittadini si affidano ai giornali, no? Noi non siamo giuristi, non abbiamo le competenze per capire cosa succede, ma per fortuna ci sono dei professionisti che raccolgono le informazioni e ce le trasmettono in forma comprensibile! Ah, no.

Insomma, è chiaro che questa moda di commentare i casi di cronaca e l’andamento dei processi è, come sempre, resa possibile dal fatto che le persone non si rendono minimamente conto che il diritto è una materia complessa, e che se non abbiamo gli strumenti per comprenderlo non siamo nella posizione di affermare che i giudici sono maschilisti o condonano la violenza. Ma finché a ragionare così è il cittadino medio, per quanto non possiamo legittimarlo, certamente lo comprendiamo: il cittadino non è tenuto all’intelligenza – purtroppo – ed è libero di esprimersi su cose che non capisce.

Le attenuanti sono previste per legge

Se però è chi di mestiere dovrebbe diffondere informazioni corrette proprio a beneficio del cittadino ignaro a raccontare i fatti in modo distorto, le cose cambiano, perché il giornalista ha una responsabilità nei confronti dei cittadini, così come ce l’ha il politico; o meglio, dovrebbe. Le circostanze attenuanti sono previste dalla legge, e non è che vengono applicate a caso. E non significano assoluzione, né svilimento di ciò che la vittima ha subìto. Ciò non significa che una sentenza non possa essere criticata; ma magari sarebbe meglio che questo venisse fatto da persone che sono in grado di capirla, le quali molto probabilmente eviterebbero di scrivere che lo Stato è femminicida. In generale, si osserva che molte delle garanzie e tutele fornite dallo stato di diritto oggi vengono fatte passare come aberrazioni, abusi e – tanto per cambiare – segni della pervasività del patriarcato. La presunzione d’innocenza è stata dimenticata; i detenuti non dovrebbero avere diritto a visite coniugali, percorsi riabilitanti, sconti di pena, perché altrimenti “sono in vacanza”; ma questi non sono favori che vengono concessi per eccesso di magnanimità: sono misure previste dalla legge, e per delle ottime ragioni. Evidentemente, i diritti umani son passati di moda; tranne quelli delle donne. È inevitabile infatti osservare che queste cose si verificano con una certa frequenza, ma sostanzialmente solo per i femminicidi e le altre forme di violenza sulle donne. Di sentenze che agli occhi del profano possono sembrare ingiuste, oppure che lo sono davvero, ne vengono emesse forse tutti i giorni; un esempio davvero a caso e senza nessun intento polemico, i padri separati, che però non finiscono sulle prime pagine della cronaca nazionale.

Un’idea di Stato che speravamo di aver perso con la Rivoluzione francese

Come sempre, le conseguenze e ramificazioni di questa tendenza sono molte. Non solo l’opinione diffusa che essere donne in Italia sia un calvario, perché lo Stato non le tutela (come se lo Stato non dovesse tutelare i cittadini, punto); ma anche – ancora più pericolosa – l’idea che lo Stato sia complice dei delitti, che li giustifichi, che addirittura assolva chi li commette. I carabinieri non ti ascoltano, quindi è inutile denunciare; i giudici sono maschilisti, quindi il tuo assalitore non verrà mai punito; insomma sei sola al mondo, le istituzioni ti lasciano morire, in pratica di te si preoccupano solo quelle che parlano di misoginia interiorizzata con la spunta blu su Instagram.

Chi commette un reato non ha più diritti?

E un’altra idea, ugualmente terribile: che chi commette un reato perda automaticamente la qualifica di cittadino ed essere umano, e vada privato quindi dei suoi diritti. Che giustizia significhi solo ed esclusivamente condanna alla massima pena possibile, che sarà sempre e comunque troppo poco. Che non esista possibilità di recupero, di reinserimento: hai sbagliato, dovresti marcire in galera per il resto della vita. È impressionante quanto poco conforme il nostro pensiero sia ai principi di uguaglianza e libertà a cui si ispira il nostro ordinamento (e tutti quelli un minimo progrediti); non li conosciamo affatto, anzi, e se ci venissero spiegati li troveremmo troppo molli. Del resto, la presunzione di innocenza l’abbiamo salutata ormai anni fa, ministri della Repubblica invocano la castrazione chimica, e il popolo vuole vedere il sangue: nessuno ha voglia di discorsi assennati, perché – lo sappiamo – non portano click.

Fonte : Today