Olimpiadi, le persone transgender possono competere?

La partecipazione delle persone transgender nelle gare sportive e nelle competizioni ufficiali è un tema continuamente dibattuto, ma che torna con pressante attualità quando ci si avvicina alle Olimpiadi. E anche nel caso delle Olimpiadi di Parigi 2024, le polemiche e le controversie riguardano in particolare le donne transgender, cioè le persone a cui alla nascita è stato assegnato il genere maschile ma che poi hanno compiuto un percorso di transizione verso quello che è il genere nel quale si identificano, quello femminile appunto: secondo alcuni, ammettere le donne transgender nelle competizioni sportive femminili significa dare loro un vantaggio eccessivo nei confronti delle donne assegnate come tali alla nascita (ovvero le donne cisgender).

I criteri di esclusione

Chi è favorevole alla partecipazione degli atleti e delle atlete transgender nelle gare internazionali lo fa sulla base di evidenze empiriche: nel caso delle donne transgender, gli ormoni bloccanti della crescita somministrati durante la pubertà e l’impiego di estrogeni ridurrebbero già in modo consistente la produzione di testosterone, portandolo a percentuali che si avvicinano a quello delle donne cisgender (negli uomini cisgender il valore di testosterone nel sangue si attesta tra i 10 e i 37 nanomoli per litro, nelle donne cisgender è inferiore a 2 nanomoli, mentre la maggior parte delle competizioni internazionali fissa il limite ormonale per i concorrenti transgender da 5 a 10).

C’è poi il caso delle persone iperandrogine, cioè che producono già naturalmente una quantità di testosterone oltre la norma. Inoltre c’è da prendere in considerazione i vantaggi biologici che derivano dal passaggio attraverso durante la pubertà maschile: secondo alcune ricerche determinate conseguenze come la maggior densità ossea e muscolare o la maggiore resistenza cardiovascolare rimarrebbero vantaggiose anche dopo la transizione, altri studi invece ne dimostrano l’attenuazione già dopo un paio d’anni di terapia ormonale.

C’è inoltre chi vorrebbe astrarre il discorso dalle semplici caratteristiche medico-biologiche e ne fa un discorso sociale: soprattutto a livello non agonistico e non professionale, quindi nelle categorie giovanili e amatoriali, lo sport è una dimensione di socialità, accoglienza e condivisione, dunque molti sono contrari all’esclusione di atleti e atlete transgender a questi livelli. Altri sostengono che l’eccezionalità di alcune atlete transgender dovrebbe trattarsi alla stregua dell’eccezionalità che attribuiamo di norma ad alcuni campioni e campionesse: ne è convinto per esempio Eric Villain, genetista statunitense e consulente del Comitato Olimpico Internazionale (Cio), citato in Cose spiegate bene: Questioni di genere (Il Post/Iperborea, 2021), il quale sostiene che i vantaggi competitivi di atleti e atlete transgender non sono necessariamente ingiusti, perché ogni individuo può avere dei vantaggi biologici nelle competizioni sportive, qualsiasi sia la sua identità o il suo percorso.

Fonte : Wired