La denuncia della società civile di Port Moresby: prelevate 180 tonnellate di materiali al largo della provincia di Nuova Irlanda. Ufficialmente dal 2019 la Papua Nuova Guinea aveva fermato per 10 anni ogni progetto. Proprio in questi giorni in Giamaica l’International Seabed Authority deve eleggere il nuovo segretario generale, figura chiave per dettare le regole di questa nuova contestata forma di attività estrattiva per cui preme l’industria globale.
Port Moresby (AsiaNews) – Nonostante una moratoria decennale proclamata dal governo di Port Moresby nel 2019, al largo della Papua Nuova Guinea società straniere continuano a prelevare materiali dai fondali marini per preparare massicce attività di Deep Sea Mining, la discussa nuova frontiera dell’industria estrattiva che guarda al mare come immensa riserva di materie prime. A denunciarlo ieri in una conferenza stampa tenuta a Port Moresby sono stati i Solwara 1 Warriors, un cartello di realtà locali da tempo impegnate nell’opposizione a questa nuova grave minaccia all’ecosistema locale, a cui aderisce anche il Consiglio delle Chiese della Papua Nuova Guinea. All’incontro in rappresentanza della Chiesa cattolica era presente Mavis Tito, la direttrice della Caritas.
La società canadese Nautilus Minerals Limited – che ambiva ad accreditarsi come pioniera in questo settore attraverso il progetto Solwara, per l’estrazione di rame e oro dai fondali marini – sarebbe tornata in Papua Nuova Guinea sotto la veste di una nuova compagnia, chiamata Deep Sea Mining Finance Limited. Tra maggio e giugno la popolazione locale ha notato una serie di attività e in particolare la presenza di una nave straniera di nome Coco sulla costa occidentale del distretto di Namatanai, nella provincia della Nuova Irlanda. La nave avrebbe estratto circa 180 tonnellate di materiale dal fondale marino come campioni da esaminare a Singapore.
L’Autorità per le risorse minerarie (MRA), l’Autorità per la conservazione e la protezione dell’ambiente (CEPA) e il governo provinciale della Nuova Irlanda affermano di non essere a conoscenza di alcuna attività di questo tipo. Chi ha permesso questa presenza, dunque, lo ha fatto in segreto tenendo all’oscuro la popolazione della provincia e dell’intera Papua Nuova Guinea. Per questo è stato lanciato un nuovo appello che chiede l’applicazione effettiva del divieto assoluto di estrazione nelle acque profonde del Paese.
“Lo sfruttamento minerario dei fondamentali marini – ha dichiarato a nome del Consiglio delle Chiese della Papua Nuova Guinea il suo segretario Michael Guka – non è necessario, né consentito. L’Oceano è il cuore blu del pianeta ed è nostra comune responsabilità essere i suoi guardiani”.
La denuncia dalla Papua Nuova Guinea arriva proprio mentre in Giamaica in questi giorni sono in corso i lavori del Consiglio e dell’Assemblea dell’International Seabed Authority (ISA), l’organismo attraverso cui i Paesi del mondo sono chiamati a fissare delle regole per questa nuova frontiera dell’industria estrattiva. C’è in atto uno scontro molto duro tra alcuni Paesi che spingono per l’adozione di una moratoria finché non sarà definito un quadro chiaro di regole di salvaguardia dell’ambiente marino e quanti premono per l’inizio di questo tipo di attività nelle concessioni già assegnate dall’autorità. Cruciale in proposito sarà l’elezione del nuovo segretario generale dell’ISA, fissata per il 2 agosto: a fronteggiarsi sono il presidente uscente, il britannico Michael Lodge, accusato dai movimenti ambientalisti di essere troppo sensibile alle pressioni delle compagnie estrattive, e la scienziata e diplomatica brasiliana Leticia Carvalho.
Fonte : Asia