Referendum contro il Rosatellum, Trenta: “Partiti scelgono al posto dei cittadini, non c’è rappresentanza”

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È partita lo scorso 16 giugno la raccolta firme per il referendum che chiede l’abrogazione parziale del Rosatellum, l’attuale legge elettorale. Il Comitato Referendario per la Rappresentanza, che ha promosso l’iniziativa, chiede che questo referendum sia accorpato a quello contro l’autonomia differenziata. L’ex ministra Trenta, presidente del comitato, a Fanpage.it: “I partiti non vogliono parlarne, vogliamo rompere il silenzio sulla materia”.

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Lo scorso 16 giugno è partita la raccolta firme per l’abrogazione parziale del Rosatellum, l’attuale legge elettorale, approvata nel 2017 con i voti favorevoli di Pd, Forza Italia, Lega, Alternativa Popolare, Alleanza Liberal popolare-Autonomie e altri. L’iniziativa è stata promossa dal Comitato Referendario per la Rappresentanza, CoReRa. Il comitato, che si è costituito lo scorso 17 aprile, facendosi portatore delle idee di Felice Carlo Besostri, senatore del Pd dal 1996 al 2001 da poco scomparso, si dichiara trasversale a tutte le forze politiche.

Quattro i quesiti referendari relativi alla legge elettorale, che sono stati depositati il 23 aprile 2024 in Corte di Cassazione. Nel dettaglio, nel primo quesito si chiede di abrogare il voto congiunto obbligatorio che, come spiegato sulla piattaforma dedicata, consentirebbe di eleggere direttamente i candidati nei collegi uninominali che non sarebbero perciò imposti dalle segreterie di partito; oggi, infatti, il candidato uninominale è eletto grazie ai voti dati alle liste collegate. Inoltre si chiede l’abolizione della ripartizione sulle liste plurinominali del voto dato al solo candidato uninominale e viceversa. Attualmente l’unica possibilità che ha un elettore per non votare un candidato uninominale indesiderato collegato al partito prescelto è non votare affatto per il partito a cui appartiene.

Nel secondo quesito si chiede l’abrogazione delle soglie di sbarramento; nel terzo quesito si punta all’abolizione di ogni privilegio nella raccolta delle firme per la presentazione dei candidati: tutti i partiti dovrebbero raccogliere le firme, non solo quelli che non stanno già in Parlamento. Il quarto quesito vuole abolire le pluricandidature, affinché ci siano preferibilmente candidati che si presentano nel proprio collegio naturale.

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Leggendo il contenuto dei quesiti referendari si intuisce perché di questo referendum non si sia quasi per nulla parlato negli ultimi mesi, e perché i leader di partiti non si siano espressi nel merito della proposta: se passasse questo referendum, e se, prima di tutto, si riuscisse nell’impresa di raccogliere entro settembre 500mila firme, le forze politiche vedrebbero ridursi la loro capacità di manovra. Ma ne gioverebbe sicuramente la democrazia e la partecipazione al voto. Del resto lo ha detto anche lo stesso Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, lo scorso 3 luglio: “Il principio ‘una persona un voto’ non può essere distorto attraverso (…) marchingegni che alterino la rappresentanza e la volontà degli elettori”.

L’idea dei promotori sarebbe quella di accorpare il referendum, ‘Io voglio scegliere’, a quello sull’autonomia differenziata, che è stato lanciato dalle opposizioni, e di cui è partita la raccolta firme lo scorso 20 luglio. Da parte del Co.Re.Ra c’è stata nei giorni scorsi una richiesta esplicita, attraverso una lettera aperta, per unire le forze e avere più chances per raggiungere il quorum necessario.

La lettera, datata 22 luglio, è stata ufficialmente inviata a tutti i partiti e movimenti che hanno promosso il referendum contro l’autonomia differenziata, affinché includano nella loro mobilitazione estiva, promossa da Cgil, Uil e da un vasto schieramento di associazioni, i quattro quesiti sulla legge elettorale, “in modo da arricchire le proposte riformatrici che potrebbero essere votate alla primavera del 2025 in una grande stagione referendaria”.

L’ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta presiede il comitato, mentre Giorgio Benvenuto è presidente d’onore. Tra i componenti figurano, con la carica di vicepresidente, Enzo Palumbo, Raffaele Bonanni, Sergio Bagnasco. Tra gli altri hanno aderito anche Enzo Paolini, Marco Cappato, Marco Perduca, Nella Toscano, Paolo Antonio Amadio, Nicola Bono, Erminia Mazzoni, Mario Walter Mauro, Francesco Campanella, Mauro Vaiani, Matteo Emanuele Maino.

Abbiamo chiesto all’ex ministra della Difesa Trenta di fare un punto sulla raccolta firme, e di spiegarci il perché dei quattro quesiti.

Ci sono state risposte alla lettera aperta? Ci sono possibilità di accorpare il referendum ‘Io voglio scegliere’ al referendum abrogativo della legge Calderoli?

Ci siamo sentiti con Landini, ci risentiremo sicuramente, spero ci sia una risposta positiva. Questo consentirebbe a noi di raccogliere più facilmente le firme, e a loro assicurerebbe probabilmente di arrivare al quorum e vincere il referendum. I due temi sono collegati, perché la rappresentanza è propedeutica a tutto il resto. Qualsiasi riforma costituzionale che non tenga presente l’importanza di questo valore non ha alcun senso. Fino ad ora ci hanno dato risposte positive Possibile di Civati, e anche il Psi sembra aperto. Spero che l’adesione sia completa.

Temete che ci possano essere resistenze da parte dei partiti?

Vede, tutti i partiti pensano che questa legge elettorale sia fatta male, ma pensano anche che se con il Rosatellum Meloni è andata al governo, allora in futuro potrebbero trarne vantaggio anche loro. Ma questo ragionamento ha fatto male alla democrazia negli ultimi anni.

Non è un caso probabilmente che si stia cercando di tenere questo referendum sottotraccia.

Credo che non se ne voglia parlare, nemmeno per contrastare quello che stiamo facendo. Anche se nessuno potrebbe dire che stiamo sbagliando, visto che i vari leader, in diverse occasioni, si sono pronunciati sull’attuale legge elettorale, dicendo che va cambiata. Ma in questo momento in cui l’opportunità ci sarebbe non vogliono coglierla, c’è il silenzio assoluto sulla materia. Noi stiamo cercando di rompere questo silenzio e di suscitare un confronto. Magari sarebbe finalmente un segnale ai cittadini di invito alla partecipazione.

C’è un legame tra l’attuale legge elettorale e l’astensionismo?

Non posso certo dire che il Rosatellum sia l’unica causa della scarsa partecipazione alle urne, visto che un alto astensionismo si è registrato anche alle amministrative e alle europee. Ma sicuramente i cittadini hanno capito che negli ultimi anni la politica si è separata molto dalla vita di tutti i giorni. Purtroppo, però, il fatto che la gente non voti non preoccupa davvero i politici, perché le maggioranze si formano lo stesso, e i governi vanno avanti.

Mi auguro però che i partiti capiscano che alla base della politica c’è la partecipazione, perché i partiti non possono sostituirsi ai cittadini. Quando questo succede, e decidono al loro posto, cosa che è avvenuta grazie al Rosatellum, allora non c’è più rappresentanza, il Parlamento non conta più. Ci si ritrova con una legge come quella sull’autonomia differenziata. In pratica, quando si faranno gli accordi tra Stato e Regioni si faranno accordi tra governo regionale e governo centrale, e il Parlamento, in presenza di materie così importanti, si ritroverà ad avere solo una funzione di ratifica.

Il primo quesito prevede l’abolizione del voto congiunto obbligatorio per restituire la libertà di scelta tra candidato uninominale e lista proporzionale. Ce lo spiega?

Attraverso questo quesito si vuole riportare almeno nell’uninominale la possibilità di scegliere, una possibilità oggi completamente negata. Nel plurinominale ci sono delle liste bloccate, decise dai partiti in maniera non trasparente. All’uninominale non vengono eletti quelli che hanno più voti, come apparentemente sembra, ma vengono eletti con il sistema maggioritario quelli che sono collegati al plurinominale che ha ottenuto più voti. L’elettore pensa si scegliere, ma non è così. Se eliminiamo questo, eliminiamo il controllo totale dei partiti, che esercitano attraverso l’accoppiamento tra uninominale e plurinominale.

Perché l’abolizione delle soglie di sbarramento?

Se guardiamo ai piccoli partiti, solo quelli che si alleano, rinunciando spesso al loro programma, riescono a superare la soglia del 3%. Quelle soglie di sbarramento che secondo alcuni servono a ridurre il numero di partiti in Parlamento, in realtà non impediscono ai partiti di moltiplicarsi: ma non entrano in Parlamento magari quelli che hanno davvero il consenso dei cittadini, ma riescono a entrare quelli che stringono l’accordo migliore con il partito più grande. Ci sono partiti che con il 2,9% non entrano, come è successo a Più Europa nel 2022. E ci sono partiti che hanno un consenso popolare bassissimo, che però riescono a fare un accordo vantaggioso, ottenendo in cambio degli uninominali. Il paradosso è che questi partiti magari hanno una rappresentanza più alta in Parlamento. Ci sono voti che pesano più di altri insomma, e questo è anticostituzionale. Sono proprio i ‘marchingegni’ che indeboliscono la nostra democrazia, quelli di cui ha parlato il Presidente della Repubblica.

Il terzo quesito, abolizione di ogni privilegio nella raccolta delle firme per la presentazione dei candidati, è forse quello che più impensierisce i partiti. 

Sì, ma in generale tutti i quesiti sono malvisti. Questo in particolare tocca i piccoli partiti. Alcuni non entrano in Parlamento per la soglia di sbarramento, altri perché non riescono a raccogliere le firme necessarie. Gli unici partiti agevolati sono quelli che stanno già in Parlamento. Fare in modo che tutti debbano raccogliere le firme è un modo per aprire l’accesso al Parlamento, è una questione di giustizia. Con questo quesito spostiamo la possibilità dei cittadini di scegliere all’atto della composizione delle firme, in una fase pre-elettorale. La rappresentanza la vogliamo da subito.

Il quarto ed ultimo quesito è l’abolizione delle pluri-candidature. E più ‘sano’ che i candidati si presentino nel proprio collegio naturale?

Sì questo è uno degli elementi, questo ricreerebbe già di per sé un collegamento con il territorio. Anche se per la Costituzione i candidati una volta eletti rappresentano tutta la nazione. Ma è importante che vengano eletti da cittadini che li conosco e che li sostengono. Le pluri-candidature sono di fatto un sistema utilizzato dai partiti per precostituire le liste: la conoscenza dei risultati delle elezioni precedenti, i sondaggi e le pluri-candidature, consentono di sapere quasi con una certezza matematica chi saranno gli eletti di ogni partito.

Perché è importante che si voti per questo referendum prima dell’approvazione della riforma del premierato voluto da Giorgia Meloni?

La condizione è che noi riusciamo a raggiungere le 500mila firme entro settembre, in modo da votare per il referendum tra aprile e giugno 2025. Nel caso in cui il governo decida di fare la legge elettorale prima, ma è molto difficile, e se la legge elettorale in questione utilizzasse qualcuno dei marchingegni contro i quali facciamo il referendum, quei quesiti rimarrebbero in piedi. Significa che si andrebbe a referendum anche contro la nuova legge elettorale.

Nel caso in cui vincessimo il referendum l’anno prossimo, il comitato referendario diventerebbe un corpo dello Stato. E nel caso in cui venisse fatta una legge elettorale addirittura peggiorativa rispetto al Rosatellum, il comitato potrebbe ricorrere direttamente alla Corte Costituzionale contro la nuova legge. Quindi il referendum ‘Io voglio scegliere’ è anche preventivo rispetto a ulteriori peggioramenti della legge elettorale che dovrebbe essere fatta dal governo per il premierato.

Il problema è che nei referendum storicamente è difficile raggiungere il quorum, la metà più uno del corpo elettorale. Negli ultimi anni è stato raggiunto solo nel 2011, in occasione dei referendum sull’acqua e sul nucleare. Come si può riuscire a far capire ai cittadini che la questione li riguarda direttamente?

Se riuscissimo a mettere insieme i due referendum, quello contro il Rosatellum e quello contro l’autonomia differenziata, daremmo un messaggio importante ai cittadini. Capirebbero che finalmente i partiti hanno il coraggio di rinnovarsi e solo a quel punto ricomincerebbero a partecipare.

Il 16 giugno è partita la raccolta firme. A che punto siete?

Sono poche le firme raccolte fino ad ora, soprattutto quelle online. Fino a ieri non era stata ancora rilasciata la piattaforma digitale dedicata alla raccolta delle firme per i referendum, pubblica e gratuita, che attendevamo già quattro anni fa. La piattaforma privata è a pagamento, chi firma online al momento deve spendere a 1 Euro e 90, e questo crea degli ostacoli in più. Avevamo sollecitato direttamente il ministro Nordio su questo. Ieri finalmente è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che prevede l’attivazione della nuova piattaforma digitale che dovrebbe facilitare la sottoscrizione digitale dei referendum abrogativi o costituzionali, e delle iniziative legislative di natura popolare.

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Fonte : Fanpage