Per decenni, i meccanismi alla base dell’effetto placebo sono rimasti un mistero, ma ora un nuovo studio ha rivelato una tessera chiave del puzzle mente-corpo. Un team di ricercatori guidato dall’Università della North Carolina a Chapel Hill ha individuato nei topi il circuito cerebrale che si attiva quando si attende un sollievo dal dolore, creando un effetto benefico anche se la causa del dolore persiste. Questa scoperta, pubblicata sulle pagine della rivista specializzata Nature, getta nuova luce su come le aspettative possano influenzare la percezione del dolore e apre alla possibilità di sfruttare lo stesso meccanismo attraverso farmaci, neurostimolazione o terapie cognitivo-comportamentali, per trattare il dolore in maniera molto più efficace e senza effetti collaterali.
Cos’è l’effetto placebo
L’effetto placebo, come sottolineato all’Ansa da Enrico Facco, neurologo all’Università di Padova, “è una componente fondamentale, spesso dimenticata, che riguarda la capacità del paziente di contribuire al processo di guarigione”. “Può contribuire in misura rilevante all’effetto del farmaco, con un effetto di più breve durata ma che può protrarsi anche nel tempo: è un fenomeno reale che ha effetti biologici clinicamente rilevanti e dimostra che i farmaci sono utili, ma non sono tutto”.
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Lo studio nel dettaglio
Per fare luce sui meccanismi alla base dell’effetto placebo, i ricercatori hanno addestrato i topi di laboratorio a distinguere due camere con diverse temperature del pavimento. I roditori hanno appreso che dopo essere stati in quella con pavimento bollente sarebbero passati in quella con temperatura piacevole. Nel corso degli esperimenti, il team di ricerca ha osservato che quanto i topi passavano dalla camera calda a quella più confortevole, anticipavano il sollievo e percepivano meno dolore, anche quando si trovavano ancora sul pavimento eccessivamente caldo. Analizzando i loro cervelli mentre sperimentavano l’effetto placebo, gli studiosi hanno scoperto che l’aspettativa di sollievo dal dolore attiva i segnali lanciati dalla corteccia anteriore fino a una regione del tronco encefalico, che finora non si credeva coinvolta nella percezione del dolore, e da questo infine al cervelletto.
“Che i neuroni nella nostra corteccia cerebrale comunichino con il ponte e il cervelletto per regolare le soglie del dolore è una cosa del tutto inaspettata, data la nostra precedente comprensione dei circuiti del dolore, e anche incredibilmente emozionante”, ha commentato il coordinatore dello studio Grégory Scherrer.
Le possibili applicazioni
“Abbiamo bisogno di modi migliori per trattare il dolore cronico, in particolare di trattamenti senza effetti collaterali dannosi e che non provochino dipendenza”, ha aggiunto Scherrer, secondo la nuova scoperta potrebbe aprire alla possibilità “di attivare questo percorso attraverso altri strumenti terapeutici per trattare le persone in modo diverso e potenzialmente più efficace”. Come sottolineato da Facco, inoltre, questa scoperta è “particolarmente interessante perché la corteccia anteriore è attivata anche durante terapie alternative come l’ipnosi e la meditazione: è quindi un’area che è possibile coinvolgere anche senza l’uso di farmaci”.
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Fonte : Sky Tg24