Quali sono le sue idee per contrastare la scomparsa del lago Ciad, una delle cause delle crisi della zona sub-sahariana?
Bisogna sia agire sulla crisi climatica, perché l’Africa e il sud del mondo ne pagano le maggiori conseguenze, sia trovare soluzioni per riportare acqua al lago, sfruttando le connessioni dei fiumi che fanno parte di questo bacino. Abbiamo la responsabilità di attirare l’attenzione sul tema perché, alle parole rassicuranti dei politici sul ripristino del livello del lago, non seguono azioni immediate. Per questo, nel giugno scorso, ho incontrato il presidente della Nigeria, Bola Tinbu, per presentare il mio lavoro sul tema del clima in Nigeria e su come implementare un piano di riparazione del lago usando degli strumenti a impatto zero, come il geografical information system, che è al centro della mia ricerca: un sistema di controllo remoto per conservare, monitorare, valutare e preservare l’ampiezza della superficie del lago e predirne la capacità di “auto-riparazione”.
Oltre al problema del lago Ciad, la Nigeria soffre di un grave problema di inquinamento ambientale causato dalla compagnia petrolifera Shell. Qual è il suo punto di vista?
È sicuramente un tema politico cruciale. La terra della comunità degli Ogoni è ricoperta dal petrolio estratto dalla Shell che fuoriesce dalla Trans-Niger Pipeline: la loro vita è stata completamente rovinata, hanno perso i loro mezzi di sostentamento, la loro giovinezza, la salute. Ora che il governo ha ingenti risorse che derivano da queste fonti d’energia, agli arricchimenti di alcuni, corrispondono migliaia di persone che rimangono danneggiate ed escluse dalle risorse. Per porre rimedio al disastro ambientale, di cui sono responsabili tutte le compagnie petrolifere che lavorano in Nigeria, serve una negoziazione che faccia pressione sulla politica, affinché comprenda quali sono i diritti delle comunità. Credo che le energie rinnovabili siano cruciali, ma sono ancora un lontano appannaggio per milioni di persone in Nigeria. Per questo, i paesi esteri, anche l’Italia, devono collaborare con gli attivisti nigeriani per denunciare e contrastare lo sfruttamento e l’esclusione delle popolazioni. Anche in Africa orientale stiamo assistendo al danneggiamento e all’impoverimento di intere comunità da parte dell’industria dell’estrazione del gas. I movimenti per i diritti umani e per l’ambiente del Nord e del Sud del mondo devono collaborare assieme, creando una forte pressione globale sulle aziende che estraggono risorse in Africa, chiedendo giustizia per i danni da loro causati.
Riceve attacchi per la sua attività?
Sì, ma il percorso che abbiamo intrapreso è troppo importante. Dovremmo occuparci della crisi climatica e dell’ambiente nello stesso modo con cui abbiamo affrontato la pandemia da Covid-19, che ha portato alla morte di milioni di persone. La crisi del clima ha le stesse conseguenze. Attacchi e bullismo non ci fermeranno, i risultati positivi che otteniamo tra le comunità ci dicono che saremo più forti.
Fonte : Wired