Fazioni palestinesi: quanto è solida l’intesa di Pechino

Al termine di tre giorni di discussioni tra Hamas, Fatah e altri dodici gruppi il ministro degli Esteri cinese Wang Yi oggi ha annunciato l’accordo per un “governo di unità nazionale ad interim” per il dopo-guerra a Gaza. Ma di questo aspetto non c’è traccia nel resoconto dell’agenzia ufficiale di informazione di Ramallah. Mentre Stati Uniti, Israele ed Emirati Arabi Uniti tornano a parlarsi su una missione internazionale con un ruolo di Abu Dhabi nella Striscia. 

Milano (AsiaNews) –  Quattordici fazioni palestinesi insieme in un’intesa “benedetta” dal ministro degli Esteri della Repubblica popolare cinese Wang Yi. Al termine di tre giorni di incontri a Pechino, accompagnato dalla foto di rito, questa mattina è arrivato l’annuncio che Hamas, Fatah e gli altri gruppi politici avrebbero raggiunto un accordo sul futuro della Palestina con la mediazione cinese.

Il condizionale è d’obbligo, visti i tanti precedenti simili rimasti lettera morta. A guidare la delegazione di Hamas a Pechino era Musa Abu Marzuk, uno dei leader storici del movimento, mentre per Fatah era presente l’alto dirigente Mahmud al-Aloul. Al tavolo c’erano anche rappresentanti dei governi dell’Egitto (storico mediatore a Gaza), dell’Algeria (che al Consiglio di sicurezza dell’Onu ha svolto in questi mesi un ruolo di primo piano nelle risoluzioni dedicate al conflitto) e della Russia.  

Stando a quanto annunciato da Pechino l’intesa prevederebbe un accordo per l’istituzione di un “governo di riconciliazione nazionale ad interim” che avrebbe autorità anche su Gaza una volta finita la guerra. Un risultato che risponde alle ambizioni della Cina di giocare un ruolo chiave nei futuri equilibri del Medio oriente, ma con un coinvolgimento di Hamas che difficilmente verrà accettato da Israele. “Oggi firmiamo un accordo per l’unità nazionale e diciamo che il percorso per completare questo viaggio è l’unità nazionale. Siamo impegnati per l’unità nazionale e la invochiamo”, ha dichiarato Abu Marzuk. Da parte sua Wang Yi ha osservato che “la riconciliazione è una questione interna alle fazioni palestinesi, ma allo stesso tempo non può essere raggiunta senza il sostegno della comunità internazionale”.

La notizia dell’intesa tra le fazioni palestinesi è arrivata da Pechino proprio mentre è in corso il viaggio a Washington del premier israeliano Benjamin Netanyahu. E soprattutto alla vigilia della ripresa giovedì dei negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, che hanno proprio nel “giorno dopo” di Gaza uno dei nodi più importanti.

L’accordo di Pechino va dunque letto in parallelo alle altre manovre in corso rispetto al conflitto che va avanti ormai da più di 9 mesi nella Striscia. In queste stesse ore il sito statunitense Axios ha fatto, infatti, filtrare la notizia di un vertice segreto che si sarebbe tenuto tra Stati Uniti, Israele ed Emirati Arabi Uniti la scorsa settimana. Preceduto da un editoriale apparso sul Financial Times in cui la diplomatica emiratina Lana Nusseibeh aveva aperto all’idea del dispiegamento di una missione internazionale temporanea a Gaza, per rispondere alla crisi umanitaria, ristabilire la legge e l’ordine e gettare le basi per la governance. Abu Dhabi sarebbe disposta a inviare proprie truppe, ma a condizione che la missione internazionale agisca dietro un invito formale dell’Autorità nazionale palestinese. Un punto, quest’ultimo, su cui finora Netanyahu ha sempre opposto un netto rifiuto, ma sul quale  secondo alcune indiscrezioni potrebbe alla fine cedere alle pressioni di Washington.

Quelli che emergono da Pechino e da Washington, dunque, sono due scenari tra loro molto diversi e contrapposti sul dopoguerra a Gaza. Ed è emblematico che nel dare notizia dell’intesa di Pechino tra le fazioni palestinesi l’agenzia ufficiale di Ramallah Wafa non faccia alcun cenno alla questione specifica del governo della Striscia. Un’ulteriore conferma di quanto il quadro resti confuso e di come gli interessi specifici dei diversi “mediatori” nella guerra in corso a Gaza siano un elemento che complica anziché avvicinare la soluzione del conflitto.

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Fonte : Asia