“Perché il parere dell’Aja avrà un impatto sul conflitto israelo-palestinese”: parla l’avvocato Sfard

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Conflitto Israelo-Palestinese

Fanpage.it a colloquio con il legale delle cause contro l’occupazione dei Territori: “Israele è rimasto fermo al 7 ottobre, non vuol vedere cosa è successo dopo”, dice Michael Sfard da Tel Aviv. “La Corte può smuovere le acque, e aiuta il mio lavoro”.

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Gerusalemme Est

Gli Shehade e altre due famiglie devono andarsene dalla loro casa di Silwan, a Gerusalemme Est. Lo ha deciso un tribunale sulle basi della legislazione che consente ai cittadini dello Stato ebraico di reclamare le terre occupate nel 1967. E di fatto impedisce ai palestinesi di mantenere le loro proprietà. “Leggi inique che il parere espresso dalla Corte dell’Aja permette ora di contestare con argomenti giuridici molto forti”, dice a Fanpage.it Michael Sfard.

A Silwan con una speranza in più

Quando ci colleghiamo in videoconferenza con lo studio di Sfard a Tel Aviv, la riunione con la famiglia palestinese, è appena finita. Gli Shehade tornano a Silwan con qualche speranza in più. Abitano in quella casa dal 1948.

“La Corte internazionale di giustizia venerdì scorso ha stigmatizzato il quadro giuridico discriminatorio che vige a Gerusalemme Est”, sottolinea Sfard. “Per gli Shehade e per altri stiamo valutando il da farsi alla luce dei nuovi strumenti legali che il parere dell’Aja ci fornisce. Possono essere davvero utili per evitar le evacuazioni”.

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Michael Sfard è uno specialista di diritto umanitario. È allievo del decano israeliano in materia, Avigdor Feldman. È nipote del sociologo Zygmunt Bauman. Ha sostenuto infiniti casi contro l’occupazione dei territori palestinesi e difeso decine di obiettori di coscienza israeliani.

Michael Sfard

Michael Sfard

“Questo parere consultivo della Corte dell’Aja è uno strumento potente”, spiega. “Introduce elementi giuridici forti in grado di avere un impatto sul conflitto israelo-palestinese. Tocca aspetti che riguardano la politica interna, l’economia e la dimensione militare, oltre agli aspetti geopolitici e internazionalistici”.

Ma Israele se ne infischia delle risoluzioni dell’Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza Onu. Figuriamoci di un parere non vincolante. “D’accordo”, ammette Sfard. “Le norme di diritto internazionale contro quel che sta facendo il mio Paese ai palestinesi esistevano già. Adesso però acquisiscono una forza che non hanno mai avuto”.

Gli aspetti pratici nel parere della Corte

L’avvocato fa un esempio che contestualizza la vicenda della famiglia Shehade all’interno del sanguinoso conflitto che continua nei Territori mentre il mondo è ovviamente distratto dall’immane tragedia di Gaza: “Una delle più devastanti conclusioni dell’Aja è che Israele si è annesso l’Area C della Cisgiordania”, spiega.

L’area comprende oltre il 60% delle terre conquistate nel 1967 a scapito di Amman, contiene la maggior parte degli insediamenti dei coloni israeliani ed è per il 99% interdetta ai palestinesi. I pochi che possono transitarvi sono sottoposti a severe restrizioni.

Il fatto che il più importante organo giudiziario delle Nazioni Unite ne abbia ora riconosciuto l’annessione può avere molte ripercussioni. È vero che nell’immediato cambia poco. Anche perché Israele, come ha scritto la Corte stessa nel parere, non ha mai applicato la Quarta convenzione di Ginevra sulla protezione dei civili in tempo di guerra. Un cambiamento di status da “occupati” ad “annessi” non risolve i problemi della vita quotidiana, per i palestinesi.

Ma secondo Michael Sfard c’è un aspetto pratico che potrebbe essere utilizzato dalla comunità internazionale per rendere quanto mai serie le pressioni su Israele affinché ponga fine a una situazione insostenibile: le sanzioni. Come avvenuto in altri casi in cui un Paese si è reso irresponsabile di annessioni illegali.

Un appiglio giuridico per eventuali sanzioni

“Finora una simile possibilità era stata sempre scartata per Israele, con la scusa che non ha mai ufficialmente annesso la Cisgiordania”, ricorda Sfard. “Ora quel caveat è diventato giuridicamente improprio. E le sanzioni sono uno strumento di pressione che può essere molto valido”.

L’accusa mossa all’Occidente dai palestinesi e dai loro sostenitori di avere un doppio standard diventa più sostanziata, col parere della Corte. In effetti, fatte le dovute differenze e ammesso il diritto di Israele alla propria difesa, se si sanziona la Russia perché si è annessa la Crimea e altre quattro regioni dell’Ucraina è lecito poter pensare a provvedimenti simili per il Paese di Netanyahu.

È vero che la guerra di aggressione scatenata da Vladimir Putin in Europa ha dimensioni e portata diverse, presenta elementi nuovi di destabilizzazione e rischi inauditi. Il conflitto israelo-palestinese comporta rischi analoghi ma fa parte del panorama internazionale da oltre un secolo. E, storicamente, la sua mancata soluzione non è solo colpa di Israele. Basta pensare al comportamento di molti Stati arabi, che spesso hanno usato la causa palestinese come pedina in giochi dove a perdere sono stati proprio i palestinesi.

La vicenda è più intricata, meno diretta rispetto all’invasione dell’Ucraina. Lo Stato palestinese è in gran parte occupato de facto da Israele da molti anni. Che si prenda come punto di riferimento la Guerra dei sei giorni o quella del 1948. Sono ben 50 i Paesi dell’Onu che non la riconoscono ufficialmente. Tra questi, gli Stati Uniti, e molti Stati dell’Europa occidentale. Italia compresa. Le stesse Nazioni Unite limitano il ruolo della Palestina a quello di “osservatore permanente”.

Ma il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani deve valere per Mosca come per Givat Ram. Di fronte allo smisurato massacro scatenato dal governo Netanyahu a Gaza in risposta alla strage fatta dai terroristi del 7 ottobre, di fronte alla persistenza della politica degli insediamenti e alla “discriminazione sistemica”, ovvero all’apartheid, identificata dalla Corte dell’Aja, il mondo deve fare molto di più.

La responsabilità degli Stati terzi

“Sta ai giuristi che consigliano i governanti e i capi delle organizzazioni internazionali far capire a chi prende le decisioni che è necessario trasformare il parere della Corte internazionale di giustizia in obblighi per il governo israeliano”, insiste Sfard. “Servirà tempo, ma i puntelli giuridici aumentano e l’opinione pubblica internazionale preme dal basso. Piano piano si arriverà a qualcosa”. Anche per il Sudafrica c’è voluto tempo. E bene o male a qualcosa si è arrivati.

Dal punto di vista procedurale, dato che il parere era stato chiesto dall’Assemblea dell’Onu, ora quest’ultima lo adotterà. Con una risoluzione che non impone niente a nessuno. Certo, sarà inviata al Consiglio di sicurezza, le cui decisioni sono vincolanti, almeno in teoria. Ma con ogni probabilità gli Usa porranno il veto. Al Palazzo di vetro funziona così.

Fatto sta che la Corte ritiene obbligatorio per gli Stati terzi, ovvero per l’intera comunità internazionale, di disconoscere come illegale la presenza di Israele nei territori. E di non assistere in alcun modo lo Stato ebraico nel suo progetto annessionistico. Nemmeno indirettamente o senza averne l’intenzione.

Una società ferma al 7 ottobre

In Israele il documento dell’Aja è stato preso malissimo. “I miei concittadini sono vittima di un massiccio indottrinamento”, sostiene Sfard. “Non siamo uno Stato totalitario, ci sono media che dicono la verità. Ma quelli più seguiti sono di parte. Da anni scrivono che i giudici internazionali sono anti-israeliani se non addirittura anti-semiti. E così la maggior parte dell’arco politico, dalla destra estrema finanche alla sinistra, ha condannato senza mezzi termini la Corte, dicendo che non tiene conto della sicurezza del Paese. Cosa c’entrino poi gli insediamenti dei coloni con la sicurezza di Israele proprio non lo capisco. Ma questo è ciò che si dice”.

Il fatto che il presidente della Corte dell’Aja sia un ex diplomatico libanese ha fornito argomenti in più a questa narrativa. Il Libano non riconosce Israele. Il conflitto tra i due Paesi mediterranei è di lunga data. Secondo Michael Sfard ,“Ccò ha contribuito a convincere la gente che il parere della Corte sia solo un atto politico compiuto contro Israele”.

L’avvocato di Tel Aviv definisce “pessimo” lo stato di salute della società civile israeliana: “Siamo come un’automobile impantanata nel fango, più accelera e più si scava la fossa. La gente non vuole sapere che cosa sta succedendo ai nostri cugini palestinesi. Pensa solo al 7 ottobre e a come tutto il mondo sia contro di noi. La situazione mi fa paura. Dovremo attraversare una crisi profonda prima che gli israeliani si rendano conto della realtà. Siamo rimasti fermi al 7 ottobre. Come se il tempo fosse finito allora. Come se i giorni successivi non fossero mai esistiti”.

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Fonte : Fanpage