AGI – Giuseppe Bossetti è davvero il colpevole dell’omicidio della giovane Yara Gambirasio? Una docuserie su Netflix, curata da Gianluca Neri, pone alcuni dubbi sullo svolgimento delle indagini e per la prima volta dà voce al muratore di Mapello incastrato dalla presenza del Dna sui vestiti della ragazza e ai suoi famigliari. Un racconto serrato di quei mesi, ripercorrendo passo passo le complicate indagini volte a individuare l’identità di “ignoto 1”, scoperchiando doppie vite, investigazioni nel privato di quelle che apparentemente erano normali famiglie della provincia italiana. Una vicenda carica di colpi di scena, che per mesi ha impegnato i cronisti in lunghissime dirette, solleticati dalla curiosità al limite del morboso che ha tenuto incollati gli spettatori, alla ricerca dell’assassinio, attraverso una mappatura a tappeto dei dna di interi paesini per poi scoprire storie di figli illegittimi, in famiglie – queste davvero – al di sopra di ogni sospetto.
La tredicenne, Yara Gambirasio sparisce la sera del 26 novembre 2010 a Brembate di Sopra dopo essere uscita dalla palestra dove amava allenarsi. Membro di una tranquilla famiglia, 3 fratelli e descritta fin da subito come una giovane ubbidiente, precisa e sportiva, il suo ritardo nel tornare a cena allerta subito i genitori. Dopo ricerche a tappeto, l’utilizzo di cani molecolari per trovare una traccia della ragazza, il corpo viene rinvenuto in maniera fortuita da un passante il 26 febbraio 2011 in un campo.
La tv che solleva dubbi
Ancora una volta un prodotto televisivo apre un processo mediatico, mettendo in dubbio quanto già stabilito dai tribunali. Bossetti è stato ritenuto colpevole in tre gradi di giudizio e attualmente sta scontando la pena dell’ergastolo, nonostante non sia stato mai accertato il movente dell’omicidio e l’arma del delitto.
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La serie Netflix semina dei dubbi sui metodi investigativi, ponendo l’accento sulle accuse di depistaggio e sui sospetti metodi investigativi. Un prodotto che però oltre ad alimentare la curiosità dei telespettatori, ha suscitato non poche polemiche verso tali prodotti. Una serie che arriva dopo il rigetto dell’istanza di revisione del processo a Rosa e Olindo Bazzi, ritenuti responsabili della strage di Erba. Anche questa volta a sollevare dubbi sulla correttezza del verdetto e dell’operato della Procura, fu una trasmissione televisiva.
Il libro “Yara. Autopsia di un’indagine”
Ma c’è un libro uscito per Mursia qualche mese fa, che invece non ha dubbi sulla bontà del verdetto. La giornalista Laura Marinaro, autrice con Roberta Bruzzone del volume “Yara. Autopsia di un’indagine” (Mursia, pagg. 204, Euro 17,00), ritiene che la docuserie di Netflix su Yara sia stata “un’occasione persa per spiegare e mettere un punto sulla vicenda che al di là di ogni ragionevole dubbio è conclusa. Intanto Massimo Bossetti è presentato come un eroe dell’ingiustizia in quella sedia (stile trono) al centro di una stanza, poi mentre atleticamente calcia il pallone …Lui di fatto non dice nulla, non aggiunge, né toglie nulla”.
“C’è veramente ancora qualcosa da dire sul caso di Yara Gambirasio? Ha davvero senso dare la parola a chi ha brutalmente assassinato una bambina per placare i suoi torbidi appetiti? Ci sono davvero “ragionevoli dubbi” sulla colpevolezza di Massimo Giuseppe Bossetti (come tentano vanamente e insistentemente di farci credere)? La risposta a questi tre quesiti è sempre inesorabilmente la stessa e non cambierà mai: NO. Ecco perché la annunciata docuserie di Netflix sul caso di Yara, in cui viene messa in onda anche una lunga intervista al condannato in via definitiva, non toglie né aggiunge niente alla vicenda e alla granitica valutazione effettuata in ben tre gradi di giudizio in cui è stato dato ampio (anzi, ampissimo) spazio alla difesa durante il lunghissimo dibattimento sia di primo che di secondo grado. Molto rumore per nulla, insomma. Massimo Bossetti ha ucciso Yara quella maledetta notte del 26 novembre 2010 e ha firmato quel viaggio nell’orrore con il suo codice genetico in maniera insuperabile. Lo scrivono a chiare lettere i giudici e i consulenti della difesa nulla hanno potuto osservare contro la correttezza delle indagini genetiche svolte: “Numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori hanno messo in evidenza la piena coincidenza identificativa tra il profilo genetico di Ignoto 1, rinvenuto sulle mutandine della vittima, e quelle dell’imputato”, aggiunge Roberta Bruzzone.
“Ben fatta la parte su Yara chi era lei e sull’angoscia dei suoi genitori, anche se tutto dall’inizio alla fine della ricostruzione è chiaramente fatto per seminare dubbi ancora addirittura su suo padre, dubbi ancora su Silvia Brena che dalle carte, quelle del processo che noi raccontiamo bene, uscì dall’inchiesta con motivazione, dubbi sull’autista della palestra, dubbi sulle testimonianze. Manca quell’onestà intellettuale in cui c’è solo la realtà di come è davvero andata e niente altro. È questo che ha spinto me e Roberta a scrivere il libro, la volontà, attraverso l’analisi degli atti del processo, di raccontare ciò che è realmente accaduto depurandolo dalle molte speculazioni che continuano a cercare di intaccare la fondatezza della condanna all’ergastolo di Massimo Bossetti. Ecco con questa serie si è fatto un passo indietro in questo senso e il problema è che la vedranno in molti, forse troppi…”, conclude Laura Marinaro.
In “Yara. Autopsia di un’indagine” Roberta Bruzzone e Laura Marinaro, che hanno seguito il caso e il processo direttamente e con attenzione, ripercorrono le tappe più importanti e controverse di uno dei casi di cronaca che ha suscitato (e continua a suscitare) un enorme interesse da parte dell’opinione pubblica. Attraverso un dialogo serrato, le autrici ricostruiscono, senza fare sconti a nessuno, tutti i passaggi di un’inchiesta unica nel suo genere che ha permesso ai giudici di esprimersi ben al di là di ogni ragionevole dubbio.
Come si legge nel libro: “La percezione che si è avuta di quel processo è sempre risultata fortemente contraddittoria perché le narrazioni sono sempre state due e del tutto inconciliabili: quella proposta dalla difesa e quella riferita dai cronisti, che sono stati (davvero) in aula, e dai giudici nelle sentenze di condanna. La spaccatura tra innocentisti e colpevolisti verrà alimentata proprio da questa netta spaccatura, tanto palese qua to strumentale. La maggior parte dell’opinione pubblica inizierà a schierarsi da una parte o dall’altra, spesso affidandosi a mere «sensazioni» del tutto decontestualizzate. Ma i giudici, in aula, hanno ascoltato il linguaggio delle tracce, poi divenute prove, e i dubbi si sono dissolti, udienza dopo udienza. Purtroppo, però, solo una parte di quanto è davvero accaduto in aula è arrivato all’opinione pubblica che ancora oggi, non avendo competenze tecniche, non avendo letto bene le motivazioni delle sentenze, annebbiata da un certo «complottismo» televisivo, continua a chiedersi se in carcere ci sia davvero l’assassino di Yara. Per questo motivo, per cercare una volta per tutte di fugare quel (assai irragionevole) dubbio, racconteremo come si è svolto quel processo, momento per momento”.
Fonte : Agi