AGI – “Il mio nome si pronuncia ‘comma-la’. Significa ‘fiore di loto’, che è un simbolo importante nella cultura indiana. Il loto cresce sott’acqua, e il suo fiore fuoriesce dalla superficie quando le radici sono ben piantate nel fondale del fiume”. Si presenta così Kamala Harris, favorita a sostituire Joe Biden nella corsa alla Casa Bianca per i democratici nella sua autobiografia ‘Le nostre verità’ uscito in Italia nel 2021 con ‘La nave di Teseo’ nella collana ‘i Fari’. Pubblicato in America a gennaio 2019 col titolo ‘The Truths We Hold: An American Journey’ (Le verità che abbiamo: un viaggio americano), questo libro è stato scritto prima che la vita della senatrice democratica fosse stravolta dagli eventi che l’hanno portata ad affiancare Joe Biden nella corsa alla Casa Bianca e arrivare lassù dove mai una donna era arrivata, sullo scranno della seconda carica degli Stati Uniti, dopo essere stata la prima in tante altre funzioni (prima donna procuratore generale della California, prima afro-asioamericana ad essere eletta al Senato).
Nel libro la Harris, nata a Oakland in California il 20 ottobre 1964 da madre indiana, immigrata da Chennai, e da padre di origine giamaicana, si mette a nudo raccontando la sua infanzia, l’impegno civile dei genitori, ma soprattutto della madre Shyamala Gopalan (il padre Donald, professore di Economia, se ne andò quando lei e la sorella Maya erano ancora piccole, pur restando sempre presente nella loro vita), endocrinologa impegnata nella ricerca contro il tumore al seno. In questo libro Kamala si racconta, parla della sua esperienza fin da bambina a contatto con le comunità di colore, spiega di essersi nutrita con le discussioni sulla giustizia sociale (ricorda che la madre le raccontava che da piccina faceva i capricci e lei le chiedeva: “Libbettà!”).
Nelle oltre 350 pagine del libro la Harris ripercorre, con dettagli e aneddoti importanti, le tappe da lei bruciate durante una carriera ricca di soddisfazioni e grandi risultati. Una carriera iniziata, dopo la laurea alla Howard University e all’Hastings College of the Law di San Francisco, nell’ufficio del procuratore distrettuale della contea di Alameda (dove ha lavorato dal 1990 al 1998) e proseguita quando ha fatto il primo grande passo in politica, candidandosi e venendo eletta nel 2003 procuratore distrettuale di San Francisco dove è rimasta in carica, dopo la rielezione nel 2007, fino al 2011.
Nel 2010 la candidatura a procuratore generale della California e l’ennesima vittoria diventando la prima donna a ricoprire tale carica, oltre che la prima persona asioamericana. Rieletta ancora nel 2014, come procuratore generale della California la Harris ha perseguito gruppi criminali internazionali, grandi banche, compagnie petrolifere e universita’ private, e si e’ opposta agli attacchi diretti contro l’Obamacare (la riforma del sistema sanitario del presidente Obama). Si è inoltre battuta per ridurre l’assenteismo nelle scuole elementari, ha aperto la strada alla prima divulgazione a livello nazionale di informazioni sulle disparita’ razziali nel sistema giudiziario penale, ha introdotto corsi di formazione sui pregiudizi per gli agenti di polizia.
La carriera della Harris ha poi toccato una vetta quando nel 2016 e’ diventata la seconda donna nera a essere eletta nel Senato americano (la prima afro-asioamericana). In Senato, come racconta ampiamente nella sua autobiografia, ha lavorato per riformare il sistema di giustizia penale degli Stati Uniti, aumentare i salari minimi, rendere l’istruzione superiore gratuita per la maggior parte degli americani e tutelare i diritti dei rifugiati e degli immigrati. Leggere oggi ‘Le nostre verità’, quando Kamala Harris si appresta a correre per diventare la prima donna presidente degli Stati Uniti dopo essere stata il primo vicepresidente di sesso femminile, è ancora più interessante perché esce fuori l’immagine di una ragazza cresciuta a pane e diritti civili, impegnata da sempre nella difesa delle donne e contro le ingiustizie. E sarà questo il tema forte della sua eventuale campagna elettorale se i democratici decideranno di seguire l’erdorsement di Joe Biden e le candideranno alla presidenza contro Donald Trump per il quale i diritti civili non sono proprio una priorità.
Fonte : Agi