Kamala Harris e le big tech, una storia d’amore

Ora che Joe Biden ha gettato la spugna nell’interesse dell’America, l’attuale vicepresidente Kamala Harris potrebbe diventare la nuova candidata democratica alla Casa Bianca.

Se Harris venisse effettivamente scelta dai Democratici, e vincesse contro Trump, gli Stati Uniti avrebbero una leader profondamente legata alle big tech e alla Silicon Valley.

Kamala Harris è nata proprio nella Bay Area, a Oakland, e in California ha costruito la sua carriera: è stata procuratrice distrettuale di San Francisco e successivamente procuratrice generale della California – per due mandati a partire dal 2010 – prima di essere eletta al Senato nel 2016.

Nel ruolo di procuratrice generale della California, Harris ha supervisionato e gestito i rapporti con i colossi tech proprio nel periodo della loro massima espansione.

Dopo aver ricevuto l’endorsement del presidente Biden, Harris è alla ricerca di donatori che sostengano economicamente la sua corsa alla nomination del Partito Democratico, e tra questi potrebbero esserci proprio gli imprenditori e gli innovatori che hanno costruito il loro impero nella valle del silicio.

In passato le campagne elettorali di Harris – le due elezioni a procuratrice generale, la corsa vittoriosa al Senato e la prima candidatura (fallita) del 2019 alla nomination presidenziale democratica – hanno attirato un notevole sostegno da parte dei dirigenti della Silicon Valley.

Sheryl Sandberg, ex braccio destro di Zuckerberg a Facebook, Jony Ive, l’ex designer di Apple, John Doerr, miliardario tra i primi investitori in Google, e Marc Benioff, altro miliardario che riveste il ruolo di amministratore delegato di Salesforce, sono tra coloro che hanno staccato un lauto assegno per le campagne elettorali che ha fin qui condotto Harris.

Kamala Harris e Sheryl sandberg, ex direttrice operativa di Facebook, durante un evento del 2015 organizzato nella sede del colosso tech, a Menlo Park, a cui la vicepresidente americana - all'epoca procuratrice generale della California - ha preso parte come speaker

I legami con le big tech della vicepresidente americana vanno oltre la politica: Harris è stata una degli invitati del matrimonio di Sean Parker, uno dei primi dirigenti di Facebook. Suo cognato, Tony West, è senior vice president e chief legal officer di Uber.

“I suoi legami stretti con l’industria tecnologica – ha scritto il New York Times ad agosto del 2020 – sono coincisi con un approccio per lo più non interventista verso le aziende che sono state sottoposte a crescenti controlli da parte dei regolatori e dei legislatori di tutto il mondo. Come procuratrice generale della California, i critici sostengono che Harris abbia fatto poco per limitare il potere dei giganti tecnologici mentre acquisivano aziende rivali e si espandevano in nuovi settori. Come senatrice, i gruppi di difesa dei consumatori affermano che spesso si è allineata agli interessi delle big tech”.

Nello stesso articolo il Nyt racconta di quando Harris, in corsa per diventare procuratrice generale della California nel 2010, “non nascondeva il suo entusiasmo” in vista della sua partecipazione, come speaker, a un evento che si sarebbe svolto nel campus di Google che si trova proprio nella Silicon Valley, a Mountain View.

“Aspettavo di venire nel campus di Google da un anno e mezzo – ha detto all’epoca Harris -. Lo desideravo perché voglio coltivare questo tipo di rapporti”.

Ora che Harris è tornata in lizza per la Casa Bianca, avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile. Anche dei suoi vecchi “amici” della Silicon Valley.

Uno di questi è senz’altro Reid Hoffman, che ha appena dichiarato pubblicamente il suo sostegno a Kamala Harris con un post sul social network X.

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“Kamala Harris è la persona giusta al momento giusto. Donald Trump e JD Vance stanno promettendo un’agenda che causerà gravi danni al popolo americano. L’esperienza e la leadership di Harris nel far crescere l’economia, lottare per l’autonomia corporea e proteggere la nostra democrazia la rendono unica nel contrastare l’estremismo di Trump”.

Reid Garrett Hoffman non è un imprenditore qualsiasi: A 56 anni siede nei Consigli di amministrazione di 11 aziende tech, tra cui quello di Microsoft.

La notorietà di Hoffman è cresciuta nel 2002, quando ha co-fondato LinkedIn, il social network più famoso dedicato al mondo del lavoro.

Nel 2015 Hoffman era seduto al tavolo di un ristorante italiano, insieme a Elon Musk e Sam Altman, per discutere della fondazione di OpenAI, il laboratorio di ricerca sull’intelligenza artificiale che in pochi anni sarebbe diventata una delle aziende più importanti nel settore dell’IA.

Proprio la recente ascesa dell’intelligenza artificiale ha aumentato a dismisura il potere economico e l’influenza di Hoffman, che attraverso la società di venture capital Greylock Partners – una delle più antiche al mondo con oltre 3,5 miliardi di capitale impegnato – ha investito in almeno 37 startup e aziende che fanno dell’IA il loro business principale.

Tra queste non c’è solo OpenAI, che a novembre del 2022 ha aperto al pubblico ChatGpt, una IA in grado di comprendere il linguaggio naturale e di imitare la creatività umana. Hoffman ha infatti fondato – nel 2022 – anche la startup Inflection AI, che ha raggiunto una valutazione di circa 4 miliardi di dollari dopo aver sviluppato Pi, un modello di intelligenza artificiale che si propone come alternativa a ChatGpt.

Nonostante la sua giovane “età”, Inflection AI è stata convocata alla Casa Bianca dal presidente Joe Biden, a luglio 2023, per discutere insieme ad altre big tech – da Microsoft a Google – come regolamentare l’intelligenza artificiale negli Usa.

Kamala Harris ha affiancato Biden nella ricerca di nuove norme che potessero garantire lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in sicurezza.

“È sbagliato pensare che si debba fare una scelta tra proteggere i cittadini o far avanzare l’innovazione” ha detto Harris a proposito dell’impegno che la Casa Bianca ha mostrato per regolamentare il settore dell’IA.

Quando Biden ha firmato un ordine esecutivo per limitare i rischi legati all’intelligenza artificiale, lo scorso ottobre, Harris ha detto che si è trattato di “un primo passo verso un futuro dell’IA più sicuro, con ulteriori sviluppi in arrivo”. Poi ha aggiunto: “Come la storia ha dimostrato, in assenza di regolamentazione e di una forte supervisione governativa, alcune aziende tecnologiche scelgono di dare precedenza al profitto a scapito del benessere dei loro clienti, della sicurezza delle nostre comunità e della stabilità delle nostre democrazie”.

Le regole varate dal governo Biden sono state ritenute eccessive da due degli investitori più importanti della Silicon Valley: Marc Andreessen e Ben Horowitz, a capo dell’influente società di venture capital Andreessen Horowitz.

“Ogni limitazione che ci imponiamo produrrà uno svantaggio per gli Stati Uniti rispetto al resto del mondo” ha detto Andreessen, che anche per questo motivo ha deciso di sostenere Trump nella corsa alla Casa Bianca.

@ppisa

Fonte : Repubblica