Ora è ufficiale: Joe Biden non sarà il candidato del Partito democratico statunitense alle elezioni presidenziali del prossimo novembre. Dopo settimane di crescenti pressioni da parte di esponenti di primo piano del partito e membri del congresso – iniziate a margine del primo, disastroso dibattito televisivo contro il candidato Repubblicano Donald Trump –, Biden alla fine ha ceduto, annunciando in una lettera pubblicata su X il suo ritiro (ma sottolineando l’intenzione di rimanere alla Casa Bianca fino alla scadenza naturale del suo mandato).
Pochi minuti dopo, sempre su X, il presidente americano ha dato il suo endorsement a Kamala Harris, confermando le previsioni che vedevano l’attuale vicepresidente come la persona largamente favorita a prendere il suo posto. Nonostante l’investitura, tuttavia, Harris non diventa automaticamente la candidata ufficiale dei Democratici: la scelta spetta ancora alla Convention del partito, in programma dal 19 al 22 agosto a Chicago, in Illinois.
Come funziona la Convention dem
Le Convention dei due principali partiti americani si tengono ogni quattro anni a distanza di pochi mesi dalle presidenziali. Si tratta in sostanza di un congresso, il cui scopo principale oggi è quello di ratificare il vincitore emerso dalle primarie. Nello specifico, questo compito spetta ai delegati assegnati da ogni stato ai vari candidati.
Quest’anno, come spesso succede a un presidente in carica in cerca di un secondo mandato, Biden ha corso virtualmente senza avversari, ottenendo la quasi totalità dei delegati (3896 su 3993).
Questi delegati, detti in gergo pledged, sono gli unici a esprimersi nella prima votazione della Convention, e sono di fatto tenuti a farlo per il candidato a cui sono legati. Se nessun candidato ottiene la maggioranza al primo voto, a questi si aggiungono i cosiddetti superdelegati, o delegati automatici, formati da figure di spicco del Partito come governatori, membri del Congresso ed ex presidenti, tra gli altri. I superdelegati previsti alla Convention di agosto sono 739, e parteciperebbero alle operazioni di selezione del candidato democratico a partire dalla seconda votazione, fino all’assegnazione della nomination a maggioranza.
Dal momento che Biden non è più in corsa, formalmente i suoi delegati hanno facoltà di votare per qualunque persona desiderino. Il fatto che il presidente abbia designato pubblicamente Harris rafforza sicuramente la posizione della sua vice, non garantendone però la nomina. Non è infatti escluso però che nei prossimi giorni emergano altre persone a sfidarla.
I possibili scenari
In linea teorica, la scelta di appoggiare fin da subito Harris da parte di Biden può essere accolta in due modi opposti. Da un parte, è un tentativo di unire i democratici fin da subito dietro un candidato chiaro ed evitare così settimane di lotte intestine a un partito già costretto a rivoluzionare la propria campagna elettorale a pochi mesi dal voto (e per di più contro un candidato come Trump, favorito ormai da tempo e uscito ulteriormente rafforzato dall’attentato a cui è sopravvissuto una settimana fa). Dal momento che fa già parte del ticket democratico, inoltre, Harris avrebbe probabilmente maggiori facilità di accedere ai fondi raccolti fin qui da Biden in campagna elettorale.
Fonte : Wired