Sarà che il vento sembra cambiare, negli Stati Uniti, anche dalle parti delle simpatie politiche della Silicon Valley. Comunque sia, Meta sembra essersi parzialmente arresa sul tema del rapporto fra le sue piattaforme e la salute mentale di ragazze e ragazzi, uno dei più intricati e problematici, che hanno più volte portato il suo fondatore Mark Zuckerberg a essere interrogato di fronte alle commissioni del Congresso. E a doversi scusare di fronte a frotte di genitori ciascuno segnato da storie di disagio psicologico nei figli: è successo appena lo scorso febbraio, quando al Senato – all’ottava convocazione ufficiale collezionata a Washington D.C., insieme ai manager di TikTok, Google-YouTube, Twitter-X, Snapchat e Discord – disse che “nessuno doveva passare attraverso le sofferenze subite dalle vostre famiglie. È per questo che adesso noi e le altre imprese del settore stiamo investendo tanto per evitare il ripetersi in futuro di situazioni così dolorose”.
Meta si è arresa anche dietro la maxi-causa intentata lo scorso autunno da una quarantina di Stati americani, sempre sullo stesso punto – cioè su quanto, come e in che misura i dirigenti abbiano costruito le fortune dei social media anche sulle fragilità degli utenti più giovani. E anche sulle più diverse pressioni, non ultima quella di Vivek Murthy, il massimo funzionario federale in termini di salute negli Usa, che in un’opinione sul New York Times è tornato a chiedere il mese scorso di imporre alle piattaforme una sorta di avviso tipo quello delle sigarette o sui prodotti nocivi, riportante appunto il fatto che “i social media sono associati a danni significativi per la salute mentale degli adolescenti”.
Adesso la holding californiana, spiega The Atlantic che per primo ha diffuso la notizia, ha deciso di lanciare un programma pilota per consentire a un gruppo di ricercatori indipendenti di accedere per un periodo di sei mesi a una selezione di dati provenienti da Instagram. Così da poterli adoperare per le loro ricerche, valutazioni e indagini sull’impatto della piattaforma sulla psicologia di bambini e ragazzi. Sulle loro ansie, sul modo in cui si vedono, sulla portata di una dinamica che costringe sempre e comunque – nonostante tutto – al meccanismo di confronto con le vite degli altri. Insomma, sul benessere e sulla salute mentale.
È una svolta non da poco, quasi epocale: Meta, come d’altronde moltissime altre big del tech, ha sempre scelto – a parte quelli finanziari, obbligatori per le società quotate – quali dati diffondere e in quale modo. Spesso aggregandoli, come fa da qualche anno con gli utenti unici mensili sulle sue varie creature, e comunque senza (quasi) mai fornire quelli davvero importanti a esperti di dati e ricercatori per svolgere ricerche più approfondite. Ricerche che, è bene ricordarlo, secondo le parole dell’allora whistleblower ed ex dipendente del colosso Frances Haugen Meta aveva invece condotto internamente e in abbondanza, ricavandone risultati poco biasimevoli sulle ricadute mentali per i teenager (e non solo) ma scegliendo di infischiarsene pur di continuare a macinare utili.
Dunque si cambia? Insomma. Intanto c’è un primo passo, lanciato insieme all’organizzazione Center for Open Science, di cui prendere atto. Anche se l’impresa è particolare, perché secondo l’accordo saranno i ricercatori a dover reclutare i giovani utenti e ottenere il via libera dei genitori per l’analisi dei dati delle loro attività su Instagram. Tutto questo per individuare – anzi, a sceglierle sarà proprio la non profit – sette proposte di ricerca su diversi argomenti per diverse macroaree geografiche (qui tutte le informazioni, se siete interessati). Fra i dati a cui gli esperti avranno accesso ci saranno il tempo di utilizzo dell’app, il momento, gli account seguiti. Altri, invece, non verranno comunque condivisi, a partire dalle informazioni personali e dal contenuto dei post pubblicati. Fra l’altro, “non è ancora chiaro se le informazioni interne relative agli annunci pubblicitari che vengono forniti agli utenti o all’algoritmo di ordinamento dei contenuti di Instagram, ad esempio, potrebbero essere fornite” precisa Caroline Mimbs Nyce sull’Atlantic. “Quasi nessuno al di fuori di Facebook sa cosa succede all’interno di Facebook” disse Haugen nel 2021 in un’audizione al Congresso. Chissà se qualcosa potrà cambiare.
“Genitori, decisori politici, accademici e aziende tecnologiche stanno cercando di capire come supportare al meglio i giovani mentre navigano negli spazi online, ma abbiamo bisogno di più dati per comprendere il quadro completo” ha affermato Curtiss Cobb, vicepresidente della ricerca in Meta. Con un’affermazione piuttosto singolare: di dati Meta ne ha quanti ne vuole, da sempre. Il problema è appunto che i suoi rapporti con le (poche) ricerche indipendenti che sono state condotte intorno a questi argomenti e ad altri come la disinformazione politica è stato sempre assai tribolato. “Ci auguriamo che i risultati prodotti dai ricercatori portino a una comprensione più chiara dei numerosi fattori che hanno un impatto sugli adolescenti di oggi, in modo che la società possa unirsi per trovare soluzioni produttive” ha aggiunto il top manager. Gli ambiti che dovranno essere approfonditi dalle sette indagini riguarderanno le potenziali associazioni positive e negative dell’uso di Instagram con altri potenziali correlati della salute sociale o emotiva degli adolescenti, le differenze tra paesi o regioni globali e soprattutto le ragioni per cui dovessero essere osservate relazioni statistiche tra il social guidato da Adam Mosseri e il benessere mentale. Per ora, prendere o lasciare.
Fonte : Repubblica