Nei primi sei mesi dell’anno lo Stato islamico ha compiuto già 153 operazioni e starebbe tentando di “ricostruirsi”. Preoccupa la forza dei jihadisti nell’agire e portare a termine gli obiettivi. Il primo ministro elogia la “diversità” rappresentata dai cristiani, che sono “fattore di stabilità”. Si chiude il Sinodo caldeo con un appello all’unità fra Chiese e all’appartenenza alla terra.
Baghdad (AsiaNews) – Un crescendo di attacchi e una maggiore presenza sul territorio, che fanno ipotizzare un tentativo di “ricostituirsi” in gruppo per tornare a colpire e conquistare sempre più terreno. Gli Stati Uniti lanciano l’allarme all’indirizzo del governo di Baghdad, di fronte al pericolo di ritorno dello Stato islamico in Iraq e Siria, nel decennale dall’ascesa del movimento jihadista arrivato a controllare metà dei due Paesi fra il 2014 e il 2016, nel momento di massima espansione.
Secondo i rapporti del Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom) l’Isis avrebbe già rivendicato 153 attacchi in Iraq e Sira nei primi sei mesi del 2024, facendo pensare che “stia tentando di ricostituirsi dopo diversi anni di depotenziamento nelle capacità” di colpire. Rispetto all’anno precedente il numero delle operazioni sarebbe “raddoppiato” con una maggiore abilità nel colpire, sebbene vi siano incertezze sui numeri reali.
L’apparente rinascita di Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico] è stata rilanciata a più riprese negli anni dalla sconfitta militare, ma a preoccupare oggi è la forza che il gruppo sembra avere nell’agire e nel portare a termine gli obiettivi. A questo si aggiunge l’amnistia generale delle milizie curde – sostenute dagli Stati Uniti – nel nord-est della Siria, che hanno portato alla liberazione di sospetti jihadisti o affiliati all’Isis.
Nelle strutture di detenzione delle forze curde nel nord-est della Siria sono rinchiusi circa 10mila ex combattenti. Fra questi non possono beneficiare dell’amnistia quanti hanno combattuto in passato contro le Forze democratiche siriane (Sdf) a guida curda o ha compiuto attacchi con esplosivi che hanno ucciso persone. Interpellato dall’Associated Press (Ap) l’esperto di diritto Khaled Jabr ha riferito che l’amnistia delle Sdf includerà circa 600 cittadini siriani detenuti con l’accusa di terrorismo e legami con lo Stato islamico, che potrebbero tornare ad agire una volta liberi. Sebbene del provvedimento non possano beneficiare i miliziani più pericolosi, resta il timore che una scarcerazione di massa possa tornare ad alimentare le fila del gruppo.
Ieri, intanto, il premier iracheno Mohammed Shiaa al-Sudani ha ricevuto il patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, e una delegazione di vescovi presenti al Sinodo della Chiesa locale, che si conclude oggi. Durante l’incontro, il capo del governo [che in questi mesi ha mostrato sostegno e solidarietà al primate caldeo nello scontro con il presidente in merito al ritiro del decreto e lo spostamento per protesta a Erbil] ha sottolineato il valore della “diversità” che è “fattore di stabilità”. Egli ha poi espresso parole di lode per i cristiani, che hanno saputo affrontare “tragedie e terrorismo” e respingere i tentativi di “causare divisioni” fra gli iracheni. È necessario, ha concluso il premier, che “tutti pratichino liberamente i loro riti e il culto” e che le enormi risorse dell’Iraq siano usate “per garantire la stabilità” in tutta la regione, da Gaza alla Siria fino al Libano dove si consumano conflitti e violenze.
Oggi, infine, si chiude il Sinodo della Chiesa caldea in programma a Baghdad dal 15 luglio con una dichiarazione finale a firma del patriarca caldeo. Nella nota, inviata per conoscenza ad AsiaNews, il porporato esprime “gratitudine” al primo ministro per il “decreto” che ne “conferma” a capo della Chiesa caldea anche per le istituzioni irachene, mettendo fine a mesi di tensioni con la presidenza della Repubblica. A questo si unisce la speranza di uno sforzo comune verso “la pace e la stabilità” applicando la legge, riportando l’unità nazionale e rafforzando la cittadinanza.
Di fronte alla “agonia” dei cristiani, prosegue il card. Sako, è necessario far valere i loro diritti “con pari rappresentanza e occupazione” e contrastando il “sequestro” delle proprietà mediante “l’esclusività di qualsivoglia partito politico”. Allargando lo sguardo alla guerra in Terra Santa (fra Israele e Hamas) e le conseguenze per la regione, il primate si unisce alla “grande preoccupazione” del Sinodo e conferma che la “soluzione migliore” sia “stabilire due Stati vicini che vivono in pace, sicurezza, stabilità e fiducia reciproca”. Infine, il porporato chiude la sua riflessione con un pensiero sul futuro dei cristiani d’Oriente. “Per quanto riguarda questo problema, i vescovi sinodali rinnovano l’appello del patriarca Sako per l’unità e la solidarietà. La cosa principale che dovrebbe unirci è la nostra fede e la nostra terra. L’unità è la nostra forza e salvezza. Nonostante le ferite, continuiamo ad amare i nostri Paesi e i nostri cittadini, e vorremmo cooperare con loro nella diffusione di una cultura di convivenza, nel rispetto delle differenze degli altri e nel consolidamento della speranza, all’interno di una società equa e civile”.
Fonte : Asia