Suicidio assistito, Consulta: “Decida il giudice caso per caso”

La Corte costituzionale ha emesso una nuova sentenza sul fine vita, ampliando il riferimento ai “trattamenti di sostegno vitale”, uno dei quattro requisiti per l’accesso al sudicio assistito, stabiliti nella precedente sentenza del 2019, che restano confermati e devono essere accertati dal Servizio sanitario nazionale

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Nella perdurante assenza di una legge che regoli la materia, la Corte costituzionale è tornata a esprimersi sul fine vita con una sentenza, pubblicata oggi, che segna un passaggio decisivo nel percorso dei diritti di chi ha perso l’autonomia vitale, diventando dipendente da macchine o assistenza fisica per la propria sopravvivenza. Il principale passo in avanti è rappresentato dal fatto che la Consulta ha allargato il riferimento ai “trattamenti di sostegno vitale”, uno dei quattro requisiti per l’accesso al suicidio assistito stabiliti nella precedente sentenza del 2019, che restano confermati e devono essere accertati dal servizio sanitario nazionale, con le modalità procedurali stabilite in quella sentenza.

La Consulta allarga la definizione di terapie vitali 

La nozione di “trattamenti di sostegno vitale” deve essere interpretata dal servizio sanitario nazionale e dai giudici comuni “in conformità alla ‘ratio’ della sentenza del 2019”, puntualizza la Corte costituzionale, ricordando che la sentenza sul caso Dj Fabo (rimasto tetraplegico a causa di un incidente, che scelse di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera nel 2017), “si basa sul riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, indipendentemente dal suo grado di complessità tecnica e di invasività”. La nozione di “trattamenti di sostegno vitale”, aggiunge, “include quindi anche procedure quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali, normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere apprese anche da familiari o ‘caregivers’ che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo”. La Corte ha inoltre precisato che, ai fini dell’accesso al suicidio assistito, “non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali. Dal momento che anche in questa situazione il paziente può legittimamente rifiutare il trattamento, egli si trova già nelle condizioni indicate dalla sentenza n. 242 del 2019”.

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“Sul suicidio assistito decida il giudice caso per caso”

La Consulta ha inoltre stabilito che i giudici dovranno valutare caso per caso ogni singola vicenda giudiziaria riguardante il suicidio assistito. Sarà dunque il giudice nella sua autonomia a valutare, “sulla base dei principi espressi nella sentenza già emessa nel 2019, se una persona è incriminabile in merito alla pratica del suicidio assistito”.

“Il Parlamento assicuri i principi della sentenza del 2019”

Nella sentenza, la Corte costituzionale ha infine espresso “il forte auspicio che il legislatore e il Servizio sanitario nazionale assicurino concreta e puntuale attuazione ai principi fissati dalla propria precedente sentenza, fermo restando la possibilità per il legislatore di dettare una diversa disciplina, nel rispetto dei principi oggi richiamati”. E ha ribadito lo stringente appello, già formulato in precedenti occasioni, “affinché sia garantita a tutti i pazienti una effettiva possibilità di accesso alle cure palliative appropriate per controllare la loro sofferenza”.

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Fonte : Sky Tg24