Forse è la prima volta che accade, e se non è la prima volta, è decisamente una delle poche in cui i CEO delle principali aziende hi-tech della Silicon Valley sono tutti d’accordo sulla stessa cosa: condannare l’attentato di cui è stato vittima Donald Trump (qui le ultime news).
Nelle prime ore subito dopo l’attacco, cioè nella mattina italiana di ieri, domenica 15 luglio, più o meno tutti i nomi più grossi del mondo tech americano si sono fatti sentire sui social per sostenere l’ex presidente. Dando fra l’altro ulteriore forza a un trend (quello di preferirlo a Biden) iniziato da tempo e di cui scrivemmo la primavera scorsa.
I post dei CEO della tecnologia per Trump
Tim Cook, amministratore delegato di Apple, ha scritto che “Prego per la rapida ripresa del presidente Trump” e che “i miei pensieri sono con lui, le altre vittime e la famiglia Trump. Condanno fermamente questa violenza”. Sundar Pichai, il suo omologo in Alphabet e Google, ha detto che “Auguro al presidente Trump una pronta guarigione” e di essere “scioccato dalla sparatoria e dalla perdita di vite umane di oggi. La violenza politica è intollerabile e dobbiamo unirci tutti per contrastarla con forza”.
Ancora: Jeff Bezos, fondatore e attuale presidente di Amazon, ha ricordato che “il nostro ex presidente ha mostrato una grazia e un coraggio straordinari mentre era letteralmente sotto tiro”, dicendosi “grato per la sua sicurezza e triste per le vittime e le loro famiglie”, mentre Satya Nadella, numero uno di Microsoft, ha sottolineato che “non c’è posto per alcun tipo di violenza nella nostra società: invio i miei migliori auguri al presidente Trump per una pronta guarigione e a tutti coloro che sono colpiti dal terribile evento di oggi”.
Più o meno tutti hanno utilizzato Twitter per condividere i loro pensieri, tranne ovviamente Mark Zuckerberg, CEO di Meta, che l’ha fatto su Threads (nonostante che fra lui e Trump non corra esattamente buon sangue): “Prego per una rapida ripresa per il presidente Trump. Questo è un giorno davvero triste per il nostro Paese. La violenza politica mina la democrazia e deve essere sempre condannata”. Nelle stesse ore, ma probabilmente non in relazione all’attentato, proprio Meta ha deciso di allentare le restrizioni applicate a Trump sia su Facebook sia su Instagram.
Twitter fra endorsement e bugie su Trump
Quello che comunque si è spinto più in là di tutti, poco sorprendentemente, è stato Elon Musk: “Sostengo totalmente il presidente Trump e spero in una sua rapida ripresa”, ha scritto su Twitter dopo il tentato omicidio. La parola usata è fra l’altro endorse, che è quella con cui si dà ufficialmente l’appoggio a un candidato nelle elezioni, e il tweet segue alcune indiscrezioni di stampa secondo cui il CEO di Tesla avrebbe nei giorni scorsi fatto una “sostanziosa donazione” a un’associazione politica che sostiene Trump.
D’altra parte, però (e anche questo non sorprende), proprio Twitter è il social su cui, immediatamente dopo i fatti, le più folli, assurde e ridicole teorie del complotto si sono moltiplicate con una velocità imbarazzante: non solo la bufala sull’inesistente Mark Violets (il giornalista Marco Violi, che qui racconta la vicenda) ma anche ipotesi sulla responsabilità di Biden, il coinvolgimento di Taylor Swift (qui si capisce perché), dei servizi segreti di Israele, dell’Ucraina o magari della Russia. Poi ci sono tutte le teorie sul cosiddetto autoattentato, cioè su un gesto totalmente falso ma che lo staff di Trump avrebbe organizzato per fargli ottenere ancora più voti a novembre, con gli hashtag #falseflag e #staged (organizzato, appunto) a lungo in cima ai Trend Topic negli Stati Uniti.
Sono tutti post e contenuti privi di alcun fondamento e che sugli altri social vengono rapidamente spazzati via dalla moderazione ma che Twitter addirittura mette in evidenza e spinge. Del resto, questo è il Twitter di Elon Musk, quello su cui le fake news legate alla setta di Qanon sono cresciute di oltre il 1200% in un anno. E forse questa è la prova che serviva per confermare la sua ormai totale inaffidabilità quando si parla di informazione.
Fonte : Repubblica